16 settembre 2011
Art. 8: il lavoro a chi lavora!
Giorni fa mi trovavo con un imprenditore ed un suo dipendente, rappresentante sindacale aziendale, a commentare la recente approvazione della manovra con particolare riguardo all’art. 8 che agisce in modo dirompente nella dinamica delle relazioni di lavoro. Ecco la discussione che ne è uscita, per facilità indicherò con C, il sottoscritto consulente, con I l’imprenditore e con S il dipendente sindacalista.
I: Allora mi spieghi che sta succedendo, è vero che potrò licenziare più facilmente?
C: Assolutamente no, nessuna norma è stata modificate in tema di licenziamenti, casomai è stato consentito alle parti sociali di trovare soluzioni diverse in molte tematiche relative allo svolgimento ed alla conclusione del rapporto di lavoro.
I: In che senso spiegati meglio.
C: Ti fidi di più delle organizzazioni sindacali e datorili o della magistratura del lavoro?
I: Mmm … puoi passare alla domanda di riserva?
C: Scusa riformulo. Ritieni più utile per le dinamiche lavorative il contenuto di una sentenza o quello di un accordo sindacale?
I e S insieme: mille volte un accordo.
S: Quando contratti ti alteri, litighi ma alla fine il punto di caduta definitivo lo trovi. Quando vai davanti al giudice l’unica cosa certa è che aspetti tanto e paghi l’avvocato.
C: Corretto. In un contratto prevale la ricerca dei reciproci interessi e non la ricerca di un “giusto astratto” che poi spesso rispecchia solo la realtà processuale. Bene, da questa considerazione parte l’art. 8 della manovra.
I: Cioè?
C: Voglio dire che in un fremito liberal/riformista (quasi più unico che raro) il Governo, ed il Parlamento sovrano, ha detto che le parti di un rapporto di lavoro (datore di lavoro e lavoratori rappresentati dalle loro organizzazioni sindacali) sono i soggetti più capaci ed interessati a scrivere le regole del gioco. Insomma in ossequio ad una idea che potremmo definire di “sussidiarietà contrattuale” si consente a chi lavora di dire la propria, di riappropriarsi del ruolo di parte contraente. E allora se nell’ambito di questo ruolo le intese raggiunte in azienda o in un territorio (contratti di prossimità) sono finalizzate a sviluppo od a superamento di stati di crisi le stesse possono derogare all’assetto regolatorio del diritto del lavoro.
S: Quindi cosa possono modificare?
C: Sia norme di legge che disposizioni della contrattazione nazionale.
S: Ma è una roba atomica, fortissima.
C: Sì devo dire coraggiosa e dirompente, l’ho riletta tante volte per essere sicuro di averla ben interpretata. Il problema sarà come queste disposizioni, che ruotano attorno alla logica: “Più società, meno Stato”, saranno interpretate dagli apparati, dalla magistratura del lavoro, dagli organi di vigilanza, dagli ispettori del lavoro e dalle stesse parti sociali. È come se stessimo aprendo un pesante portone per fare entrare aria nuova nella stanza. Tanti sforzi, il rischio di non farcela, la paura del colore del cielo che vedremo fuori fa si che molti preferiscano non rischiare. Che il portone resti chiuso, chi è dentro è dentro … per gli altri … affari loro. Proprio così, il cambiamento richiede coraggio, fa paura, scuote vecchi equilibri e quindi il conservatore si ferma, dice basta, rinunciamo. Non sa (o finge di non sapere) che l’aria nella stanza è finita e se la porta non si spalanca ci sarà ben poco da conservare.
S: Il nostro ruolo è importante ma se non siamo d’accordo tra di noi RSA e l’impresa chiude un accordo solo con una?
C: L’accordo del 28 Giugno indica chiaramente percorsi che garantiscano il rispetto della volontà della maggioranza dei lavoratori. Se non passa al referendum l’accordo è carta straccia e quindi si applicano le regole ordinarie.
S: Ma gli accordi non hanno limiti nei loro contenuti?
C: Si, l’impalcatura normativa che regge il “sistema lavoro” non può essere stravolta nei suoi fondamentali perché tutti gli assetti contrattuali devono essere rispettosi della Costituzione, dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali sul lavoro, un po’ come avvenuto nel collegato lavoro con l’arbitrato.
I: Ma sui licenziamenti?
C: Anche in questo caso le parti potranno trovare soluzioni più appropriate rispetto alle conseguenze per un licenziamento illegittimo. Per esempio: un’azienda esternalizza, subappalta, fa uso smodato di contratti a termine per non superare la soglia dei 15 dipendenti. Il tutto limita crescita economica e sana occupazione. Bene, le parti possono dire: assumi liberamente e per i prossimi 3 anni ed in caso di licenziamento illegittimo prevediamo un pesante risarcimento economico ma non la reintegrazione. Le parti riprendono il timone e la nave va più spedita. Ovviamente i limiti generali cui accennavo restano tutti: un atto discriminatorio, nullo, resta tale, è incapace di produrre effetti giuridici. Quindi, per esempio, niente rappresaglie in azienda, nessun timore per discriminazioni contro le lavoratrici madri. Il loro licenziamento è e sarà nullo.
I: Mi sembra interessante, qui c’è crisi, difficoltà di mercato, i clienti non pagano…. Non sarà la soluzione miracolosa ma certo consentirà di lavorare insieme in modo più responsabile. Io ho solo voglia di fare impresa e senza la collaborazione attiva dei miei so di non andare da nessuna parte.
S: … Non farla troppo da libro cuore, guarda che tra gli obiettivi degli accordi c’è anche la partecipazione attiva dei lavoratori nell’impresa … quindi comincia a ragionare in modo serio della NOSTRA impresa.
Per approfondimenti www.cuorecritica.it
Scritto il 19-9-2011 alle ore 17:32
Mi sembra si possa dire.. piuttosto che niente..
In effetti si sta sempre girando attorno all’art. 18 dello Statuto senza avere il coraggio di riprenderlo in esame ed adeguarlo ad una realtà che purtroppo si è venuta a modificare rispetto al passato.
Credo che l’art. 18 contenga in se’ l’aspettativa nefasta che il lavoratore abbia solo diritti venendo meno il suo ruolo nel buon esito dell’attività imprenditoriale.
In azienda il lavoratore che non sia disponibile a dare il massimo del proprio impegno diventa uno spreco economico e un cattivo esempio per i colleghi. Forse l’art. 8 può indicare una soluzione a questo problema.
C’è anche da dire che l’apppiattimento dei salari e stipendi va superato nel senso che deve essere trovato un meccanismo premiale per l’impegno soprattutto quando quell’impegno si traduce in risultati di bilancio positivi.
Speriamo bene.
Scritto il 19-9-2011 alle ore 19:15
caro omonimo amico non limiterei il ragionamento all’art. 18 nel valutare la portata dell’art. 8 della manovra. sono il primo a rendermi conto della necessità di una riforma delle conseguenze sanzionatorie di un licenziamento giudicato illegittimo (la trappola della reintegrazione obbligatoria è istituto quasi unico al mondo) ma in questo caso, se possibile, la partita ha un respiro più ampio. si tratta di capire se, in materia di lavoro, le parti contrattuali (intese come i soggetti primi del rapporto, per capirci il secondo livello aziendale) abbiano o meno spazio di manovra nel definire le regole del gioco adattandole alle contingenze del tumultuoso mercato. se sì, l’art. 8 costituisce la premessa di un nuovo sistema regolatorio in cui l’ordinamento generale ha solo ruolo di custode dei diritti primari; se no la regolamentazione sarà centralizzata (legale o contrattuale non cambia molto) con la conseguenza che continuerà ad esserci una corsa al “fai da te” (nel senso che si cercherà di aggirare le norme che non si possono modificare) con un contenzioso sempre crescente.
quanto ai meccanismi premiali … in altri post ho evidenziato come siano l’unica concreta strada x la tenuta del potere d’acquisto di salari, quindi sfondi una porta aperta
Scritto il 20-9-2011 alle ore 10:24
La problematica di fondo ci viene “suggerita” dai clienti stessi tutte le volte che ci chiedono di effettuare un’assunzione. Nel 90 % dei casi la richiesta è: posso assumerlo a tempo determinato così da poterlo provare?
E sinceramente non mi sentirei nemmeno di biasimarli. Nelle realtà medio piccole, un dipendente a tempo pieno ha un determinato costo; una ditta con due dipendenti a tempo pieno è probabile abbia un costo mensile globale di cinque mila euro (salvo eventuali agevolazioni). Se poi uno dei due dipendenti non produce quanto costa? si procede ad un licenziamento? In bocca al lupo..
Noi, in Italia, ormai ci siamo attaccati talmente tanto ai nostri diritti da aver perso di vista i nostri doveri.. ho casi di dipendenti che hanno mosso causa al datore di lavoro solo con la premessa che, al datore, conviene comunque conciliare per non spendere molto di più in spese legali.. che vuol dire questo?
Se venisse introdotta una “libertà” di licenziamento per le ditte piccole (ad esempio 3 dipendenti come era fino a qualche decennio fa mi pare, al tempo non ero nemmeno nato) secondo me, l’unica conseguenza, sarebbe un aumento dei contratti a tempo indeterminato. Il datore di lavoro non sarebbe più intimidito e sarebbero tutti più contenti:
A) I datori assumerebbero a tempo indeterminato perchè non avrebbero problemi a farlo;
B) I dipendenti che lavorano continuerebbero a lavorare (e meglio a causa del fatto che un aumento delle assunzioni, e delle richieste, porterebbe gli stessi a poter richiedere salari più alti)
C) Un aumento delle assunzioni porterebbe ad un aumento dell’occupazione e, di conseguenza, del reddito medio
D) Si avrebbe una consistente riduzione di contratti atipici, abusati fino ad ora.
Scritto il 20-9-2011 alle ore 13:20
dario ci racconta una storia che ha dentro molta verità.
da più parti si evidenzia come il proliferare di contratti atipici sia dovuto principalmente agli sbarramenti in uscita nel rapporto di lavoro.
se avesse ragione dario la direzione da prendere sarebbe chiara … anche se politicamente scorretta!
Scritto il 21-9-2011 alle ore 16:00
Mi pare che non si sia abbastanza evidenziato che, qualora dell’ art. 8 venisse fatta concreta applicazione (ciò di cui peraltro dubito), verrebbe scardinata la regola fondamentale su cui si è basato il diritto del lavoro italiano repubblicano, e cioè quella dell’ inderogabilità unilaterale. Quindi, un nuovo diritto del lavoro, basato su una diversa disciplina… siamo sicuri di volerlo ?
Scritto il 21-9-2011 alle ore 16:13
maurizio perchè parli di scardinamento della regola dell’inderogabilità unilaterale? ogni deroga prevista dall’articolo 8 e contrattata e finalizzata a risultati specifici nonchè inserita in un quadro regolatorio generale.
è di tutta evidenza che è un elemento di assoluta novità … ma la tua affermazione mi sembra inesatta, parlerei di deroghe negoziate (per altro il legislatore già spesso affida deroghe a norme di legge alla contrattazione nazionale)
Scritto il 26-9-2011 alle ore 16:21
…che le aziende piccole assumeranno a tempo indeterminato perchè possono licenziare è una probabilità… Praticamente poi ..non assumono a tempo inderminato perchè maturi anzianità e relativi costi economici..Se ti licenzio ogni anno, posso pagarti sempre con la stipendio da prima assunzione…questa è la realtà Non mettiamoci le fette di salame sugli occhi…
Scritto il 26-9-2011 alle ore 16:30
..che il proliferare dei contratti atipici dipenda dalla non licenziabilità è un’altra bufala…Mia figlia è andata avanti 1 anno, di tre mesi in tre mesi come co.co.pro. e sapete incosa consisteva il progetto? nel coordinare gli agenti di vendita di una società….prendeva 800 euro lavorando 8 e più ore al giorno per 6 giorni alla settimana. Questo si chiama “sfruttamento”….Col contratto a tempo indeterminato non avrebbero mai potuto fare una cosa del genere. Molti dei nostri proprietari d’azienda sono brutalmente “bottegai”…Se andate un pò più a fondo in questa situazione di crisi molti perdono il lavoro ma le aziende aumentano i profitti…C’è qualcosa che non funziona e non sono i contratti di lavoro…
Scritto il 27-9-2011 alle ore 15:38
buonasera, sono una impiegata 4 livello ma effettivamente faccio venditore esterno da quasi 10 anni per una s.p.a. , da 11 mesi siamo in cassa integrazione ma 8 settembre azienda dato in primis un ultimatum rimangiato davnti ai sindacati poi, che se entro 30 settembre uno non passava a partita iva era fuori, ora io non posso passare a partita iva poiche’ ho cessione delega in busta paga da 4 anni che si concludera’ tra sei di 530 euro, prendo 918 euro piu’ 0,5 % di provvigioni e un rimb spese auto e cell aziendale , ora loro mi dicono che se si potra’ mi troveranno un riccolocameno in azienda se no mi licenzieranno, premesso in 10 anni mai un gg di malattia sempre in crescitaa parte anno scorso con fatturati, ora mi ritrovo a breve senza nulla tfr se lo mangia banca, mi daran solo paga base se mi ricollocano, vivo sola , andar a lavoro in bici e continuar a pagar 530 di affitto, posso intervenire legalmente ,oppure dire bene signori non mi volete o mi declassate, mi date buona uscita o io non me ne vado e’ fattibile???? grazie salti
Scritto il 29-9-2011 alle ore 09:31
Buongiorno dott. Stern, vorrei sottoporLe un quesito:
pochi giorni fa è uscita la sentenza inerente una controversia di lavoro che il sottoscritto ha sollevato, il risultato è a mio favore con il ripristino del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.
All’epoca dei fatti ero impiegato inquadrato con il 4 livello ccnl per gli addetti delle aziende del settore metalmeccanico, la mia assunzione prevede la 14^ e la mia qualifica era di funzionario commerciale.
la mia sede dove avrei prestato servizio era Milano con tale qualifica, ma mi sono ritrovato a gestire l’area calabria e puglia fisicamente.
Sono venuto a conoscenza che l’azienda sta valutando l’ipotesi del mio reintegro nella sede di Milano, ma con una mansione diversa ovvero un’operatore di customer service ( rispondere al telefono, inserimento ordini dei clienti, ecc ecc)
Volevo chiedere sa tale mansione equivale alla precedente, se mi spetterà la 14^, cosa più importante se posso rifiutare il trasferimento.
grazie mille per la sua disponibilità
Scritto il 1-10-2011 alle ore 08:55
Ottime e pacate riflessioni caro Paolo, tuttavia da avvocato operatore del diritto nelle aule del Tribunale di Roma sezione lavoro mi domando: se i giudici applicheranno la normativa con rigore le posizioni dei lavoratori licenziati saranno difendibili come prima dell’entrata in vigore del famigerato art. 8 ?
Scritto il 3-10-2011 alle ore 23:02
buonasera
leggendo qua e là mi sembra che stia riaffiorando quell’odio sociale che precedette l’omicidio Biagi … mi vorrei sbagliare ma la situazione mi sembra stia precipitando. è possibile che in questo paese ogni riforma sia considerata una specie di insulto contro i diritti umani?
Scritto il 4-10-2011 alle ore 12:53
nico ci rappresenta uno spaccato di mezza verità. è indubbio che ci possano essere delle elusioni contrattuali o qualcuno possa fare il furbetto. in questo momento però aziende che facciano grossi profitti (al di fuori di settori protetti) non ne vedo molte. il mondo “ideale” secondo me dovrebbe essere regolato da poche regole condivise la violazione delle quali dovrebbe portare a conseguenze sanzionatorie gravi. ma non siamo in un mondo ideale! quindi? quindi è bene che le regole siano il più vicine possibili a chi le applica, che il nostro paese torni ad essere una zona “attraente” e non una specie di far west dove tutto è possibile e dal quali ogni investotore scappa.
Probelma cococo. oggi i cococo possono essere (ed in alcuni casi lo sono) fonte di sfruttamento come dici tu ma in molte occasioni sono emersinone dal lavoro irregolare. il che mi sembra già un risultato. certifichiamo i contratti così saremo più sicuri.
Scritto il 4-10-2011 alle ore 12:58
val, la situazione non mi pare troppo tranquilla. verifica tu (è impossibile darti un consiglio concreto a distanza) certo tutto è possibile. poni delle condizioni, valuta e pensa anche ad un possibile reimpiego successivo. sicuramente se la tua azienda ha un problema di esuberi lo deve risolvere ed evitare un contenzioso, magari con uscite incentivate, è x l’azienda un obiettivo di interesse primario.
per tua informazione l’art. 8 di cui si parla in questo post consente accordi tra impresa e sindacati anche in situazioni come la tua ed il recente testo unico sull’apprendistato invita le parti sociali a regolamentare i rapporti di cococo e PIVA in regime di monocommittenza.
Scritto il 4-10-2011 alle ore 13:04
flavio l’argomento non è proprio in linea con il post. comunque, per ragionare sull’equivalenza delle mansioni dai una prima occhiata al CCNL e vedi le declaratorie (mansionari,) se le mansioni sono allo stesso livello un primo step circa l’equvalenza delle stesse è superato.
il trasferimento va effettuato per ragioni oggettive e non discriminatorie e quindi deve esserci un motivo reale per spostare una risorsa da una sede all’altra. se il motivo c’è, è difficile opporsi altrimenti … rivolgiti ad un legale perchè può attivare le giuste difese giudiziarie.
Scritto il 4-10-2011 alle ore 13:09
caro luigi … se i giudici applicheranno con rigore una norma sarebbe comunque un bel risultato (in realtà ho dubbi che ciò possa accadere). converrai che qualche volta l’interpretazione della norma diviene così ampia che la parola rigore sembra proprio scritta sulla sabbia.
sai alla base di tutto c’è un accordo. se sarà venuta meno una iper tutela in caso di licenziamento (allo stato è pura ipotesi di scuola) significa che ci sarà stato un altro vantaggio già percepito … che so incrementi retributivi, aumenti di occupazione, trasformazione di contratti. insomma come sai bene alla base dell’articolo 8 c’è uno scambio, un patto. e pacta sunt servanda!
Scritto il 4-10-2011 alle ore 13:14
chiara x carità. fortunatamente certe stagioni sono passate (anche se dal passato dobbiamo sempre imparare x evitare di ripetere errori).
spero che non salti fuori nessun irresponsabile di turno che innaffi di benzina il fuoco della crisi economica facendo divampare così l’odio sociale. spero proprio che ciò non accada. solo con un “patto sociale” forte si esce dalla crisi. regole nuove e guardarsi negli occhi senza barare. in fondo siamo nel 150esimo dell’unità d’Italia e quanto volte abbiamo cantato ” stringiamci a coorte …”
Scritto il 4-10-2011 alle ore 13:29
Caro Paolo, io davvero non so dove tu viva perchè, a parte nel settore pubblico, i co.co.pro. saranno anche emersione del lavoro nero (mi piacerebbe vedere dei dati che lo testimoniano: le indagini in materia non dicono che il lavoro nerò è diminuito a seguito dell’applicazione dei contratti flessibili!!) ma sono contratti che sfruttano i ragazzi. E’ vero che ciò accade perchè da noi le verifiche ed i controlli sulle imprese sono pari “allo zero”….In quanto ai profitti…beh…se si vanno a guardare i bilanci delle imprese e la distribuzione degli utili….
Scritto il 4-10-2011 alle ore 13:40
non ho capito l’intervento di Chiara che parla di “fomentare l’odio sociale”….che la situazione stia precipitando è vero se ci si riferisce all’aumento della disoccupazione, al far fatica ad arrivare a fine mese (e sono quelli i lavoratori dipendenti di impresa o pubblici), al tagliare le spese…e se il governo continua a blaterare e balbettare anziche attivare politiche adatte…e se le imprese la smettessero di pensare soltanto che si risolve tutto se “possono licenziare liberamente, o se pagano meno tasse, o se i lavoratori lavorano di più…..” insomma la smettano di cercare soltanto responsabilità al di fuori dell’impresa..comincino a pensare anche loro di “stringere la cinghia”….come tutti gli altri…che il tempo dei guadagni facili e notevoli sono finiti!!!Su, un pò di responsabilità anche da parte loro…Mi sembrano come i politici che tagliano da tutte le parti tranne che dalle loro tasche….
Scritto il 4-10-2011 alle ore 20:21
nico, scusa ma il rischio di “buttarla in caciara” è troppo grosso: politici tutti ladri, imprenditori tutti sfrutattori, ragazzi tutti poveri cristi bisognosi di coccole ed in preda ai prima citati sfruttatori, cococo = schiavi moderni (come li denominò un tal signor grillo). no, non ti seguo su questa linea. oggi più che mai il qualunquismo è distruttivo. c’è un paese che a fatica lavora e produce. tra mille difficoltà va avanti, non si può (scusami la franchezza) buttare tutto al macero. sui cococo/pro ti ricordo solo che il dlgs 276/03 ha per la prima volta strutturato e dato regole ad un contratto nato (un po’ per caso ed un po’ per ipocrisie del legislatore) anche per aggirare norme stringenti del rapporto di lavoro dipendente. il 276 c’è riuscito? forse no ma almeno oggi abbiamo delle regole che prima non c’erano. il lavoro nero non è calato? non credo proprio e non abbiamo prove contrarie, ma comunque è la risposta (ovviamente deprecabile) ad una crisi che ha tagliato ogni margine di ricavo. è una piaga da estirpare ma ne vanno comprese le ragioni che non sono solo: da una parte i buoni e dall’altra i cattivi.
come uscirne? è evidente che non è questa la sede per improvvisate formule magiche, mi limito a ricordarmi/ti che alcune regole del gioco-lavoro esistono solo nel nostro paese (chissà perchè?), che gli investitori stranieri scappano, che c’è necessità di maggiore dinamicità a livello aziendale, che anche dal resto del mondo (vedi la famosa lettera della BCE del 5/8) ci arrivano indicazioni e sollecitazioni … insomma se non abbiamo il coraggio di cambiare (ovviamente rimanando al solo tema lavoro) e di traghettare verso un’organizzazione più funzionale e moderna … la vedo dura soprattutto per chi fa già fatica ad arrivare alla 4^ settimana.
Scritto il 4-10-2011 alle ore 20:23
dimanticavo … mi auguro che chiara non abbia ragione. in nessun caso e giustificabile fomentare l’odio sociale. ti prego, abbiamo già dato (e a caro prezzo)
Scritto il 5-10-2011 alle ore 21:05
Caro Paolo
ho letto con attenzione il tuo racconto-intervista e su una cosa sono perfettamente d’accordo.
L’art. 8 è “roba atomica” e come tale farà quello che ha fatto l’atomica a Hiroshima, ovvero un deserto di morti e rovine, dove i morti sono i diritti dei lavoratori e le rovine sono il diritto del lavoro.
Il nostro governo è riuscito a stravolgere uno dei canoni fondamentali del nostro ordinamento giuridico, nonchè del diritto in generale, ovverosia permettere ad una fonte sottordinata come è il contratto di derogare alla fonte primaria, ossia alla legge.
Più analiticamente si è trasformata in regola quello che per l’art. 1418, comma 1 cc. – per il quale il contratto è nullo quando è contrario a norma imperative salvo che la legge disponga diversamente – è l’eccezione.
E questo non aumenta la flessibilità, ma la precarietà nel mondo del lavoro.
E’ vero che tutti si sono un pò fossilizzati sulla questione dell’art. 18 Stat. lav. che impone la reintegra in caso di licenziamento nullo, annullabile o inesistente, e questo è sbagliato.
Sbagliato perchè l’art. 8 permette di derogare praticamente l’intero ambito delle leggi sui licenziamenti, anche alla 604 del 1966 sulla stabilità obbligatoria.
Faccio un esempio: una piccola azienda con meno di 16 dipendente a cui si applicasse un contratto aziendale in deroga potrebbe negare al lavoratore illegittimamente licenziato anche la miseria dell’indennità prevista oggi che va dalle 2 e mazzo alle 6 mensilità in maniera perfettamente lecita.
Ma lasciando da parte la questione dei licenziamenti – è vero che siamo l’uinico paese insieme al Portogallo ad avere l’obbligo di reintegra, ma è anche vero che in tutti gli altri paesi UE le indennità per licenziamenti illegittimi sono altissime – la deroga riguarda l’intero arco della legislazione sul lavoro, compresi, i contratti a termine, i co.co.co., l’orario di lavoro, le mansioni.
In altre parole non vi sarà più certezza su nessun diritto, in quanto la contrattazione aziendale potrà variare di azienda in azienda anche all’interno dello stesso settore merceologico.
E qui si inserisce la prima criticità, perchè si va contro l’art. 3 Cost. che vuole situazioni uguali regolate in modo uguale e situazioni diverse regolate in modo diverso, ma ove vi siano apprezzabili ragioni e non – magari – la posizione di debolezza del sindacato stipulante o il ricatto dell’imprenditore (tipo il ricatto Marchionne, per intenderci).
Ancora, l’art. 8 ha una falla grossa come una casa quando impone per legge l’efficacia erga omnes dei contratti aziendali: già avevo fortissimi dubbi di costituzionalità sul punto nei confronti dell’Accordo interconfederale, ma non ne ho proprio su tale articolo.
Nella Costituzione infatti l’art. 39 prevede uno specifico sistema per dare efficacia erga omnes ai Contratti collettivi e non è certo quello usato dall’art. 8; in secondo luogo l’orientamento costante è quello di limitare l’efficacia dell’art. 39 ai soli contratti nazionali e non anche a quelli aziendali, i. e. i contratti aziendali non sono estensibili erga omnes per legge.
Da tale punto di vista, quindi, non scommetterei un soldo bucato sulla sorte dell’art. 8 ad un eventuale vaglio di costituzionalità, a meno che i giudici del lavoro – quegli stessi giudici da Te direi tanto criticati nell’intervista – non salvino il “papocchio” con una interpretazione costituzionalmente adeguatrice.
Interpretazione, sì, perchè se è vero che sarebbe moglio un bell’accordo contrattuale, invece della fredda sentenza di un giudice che ricostruisce solo una realtà processuale – ma per esperienza Ti dico che spesso la realtà processuale coincide con quella reale – non bisogna dimenticare che nel rapporto di lavoro le parti contrattuali non partono per definizione dalla stessa posizione di forza (e questo lo ha ribadito persino il nostro Presidente della Repubblica quando ha rispedito al mittente -ahimè inutilmente – il Collegato lavoro) perchè il lavoratore è più debole del datore di lavoro.
Nè tale posizione è oggi riequilibrata più dai sindacati, i queli stanno lentamente – e nemmeno troppo – abdicando dalla loro funzione di difesa dei diritti dei lavoratori.
E non uso l’espressione “difesa dei diritti dei lavoratori” a caso, perchè i sindacati non sono i titolari di quei diritti e non possono quindi disporne “in bianco” con la contrattazione collettiva.
Da ultimo permettimi una considerazione da studioso del diritto del lavoro: nella Tua intervista articolo hai detto che le aziende stanno sulla soglia dei 15 dipendenti, mi verrebbe da dire, come i nostri soldati sulla linea del Piave durante la I guerra Mondiale, e danno in subappalto, fanno uso smodato di contratti a termine, esternalizzano, per paura di non poter licenziare, e qusto va a detrimento della crescita e conomica e sociale.
Vero, tutto ciò va a detrimento della crescita economica e sociale, ma è anche falso, perchè le aziende non vogliono il licenziamento “giusto”, ma quello “facile”.
Le aziende possono licenziare quando vogliono, solo che lo devono fare rispettando le regole del gioco, tutto qui.
Se c’è la giusta causa o il giustificato motivo, il licenziamento è più che valido e il lavoratore è giustamente spedito a casa e nessun giudice si sognerebbe di dare ragione ad un “fannullone” provato (ma deve essere il datore a provarlo, secondo la regola processuale che vale per tutto il diritto secondo cui chi afferma una cosa deve provare i fatti che ne sono a fondamento).
Quanto al paradigma (o fremito) liberal riformista per cui il lavoratore si riappropria del suo essere parte in un contratto e di dire la propria secondo un sistema di sussidiarietà contrattuale – più società e meno Stato – ti dico che quando le parti non hanno la stessa forza contrattuale, la parte debole – leggi il lavoratore – non può dire un accidente di niente, ma ha solo l’opzione di prendere il contratto che l’altra gli impone o fare la fame, secondo il ricatto – chiamiamolo con il suo nome – del “prendere o lasciare”.
Questo è un principio oramai assodato anche nel diritto privato – il diritto del lavoro c’era arrivato più di un secolo fa – e basta, sul punto, pensare al codice del consumo ed alla protezione che esso offre al consumatore, altro contraente debole.
Ma in fondo il problema è proprio questo: quello che si vuol far passare per “aria nuova” è, purtroppo, il paradigma neoliberista tanto efficacemente condensato da Friedmann nell’adagio “ciò che è bene per l’impresa è bene per la società”, con le conseguenze di crisi che ora abbiamo tutti sotto gli occhi.
Si protegge la persona come “consumatore” ovvero come agente del mercato ma non più come “lavoratore” ovvero come fattore di produzione (mi sbaglio o è stato il Ministro Brunetta che ha detto che il lavoro è una merce alla faccia dell’art. 1 Cost. ?), ma vorrei far presente a tutti i difensori – come Te suppongo -del paradigma neoliberista che senza il “lavoratore” non vi può essere anche un “consumatore” e non possiamo divenire tutti “imprenditori di noi stessi” o il sistema di mercato – che per carità io difendo, ma regolamentato – crolla.
E poi, sbaglio o anche la Marcegaglia ha detto che l’art. 8 è quanto di più sbagliato ed inopportuno poteva fare oggi il governo in tema di regolamentazione del lavoro, dato che persino l’A. D. Fiat non si è accontentato di una legge tagliatgli su misura ed ha dichiarato che uscirà da Confindustria ad inizo dell’anno prossimo, prontamente seguito dalla Pigna (il cui A. D. è anche senatore PDL)?
Scritto il 7-10-2011 alle ore 11:31
Caro Federico
Per prima cosa complimenti. Hai espresso (in modo più che esaustivo) il tuo pensiero in modo chiaro e competente. Presumo tu sia “un addetto ai lavori”. Ho letto con attenzione e riflettuto sulle tue suggestive riflessioni che traggono spunto da cambiamenti sistemici che necessitano il contributo serio e costruttivo di tutti. E però … non mi convinci per una serie di ragioni che proverò sinteticamente ad argomentare dividendo (per ragioni di + facile lettura dividerò in + risposte):
1) Gerarchia fonti: la regola generale della gerarchia delle fonti non viene stravolta, vengono previste (come già accade) specifiche possibilità di deroga. Perché scandalizzarsi di qualcosa di attualmente ordinario? (hai presente le deroghe che le parti possono apportare a norme di legge in materia di lavoro? Rinfreschiamoci la memoria: contratti a termine, orario di lavoro, contratti atipici, contratti di emersione dal lavoro nero, part time ecc…). Quindi il meccanismo non è nuovo, viene ampliata, in un percorso negoziato controllato (nel senso che i principi fondamentali di sistema non possono essere mutati), la capacità delle parti di adattare la norma generale al contingente.
2) Licenziamenti: regolamentare le conseguenze del recesso (non del licenziamento, da tecnico non ti sfuggirà la differenza) vuol dire tante cose. Vuol dire, per esempio, ridurre i risarcimenti per un lavoratore dimissionario in un contratto a TD, vuol dire regolamentare in modo nuovo (magari un’erogazione mensile) il TFR (vera diretta conseguenza del recesso), regolamentare i tempi di preavviso in modo più consono ad una realtà locale. Quindi tante cose non solo licenziamento selvaggio. Ma veniamo ai punti più spinosi: le parti scambiano reintegra con pesante indennizzo economico? E allora? Avviene in tutta Europa … solo da noi il giudice è incatenato all’obbligo di reintergrazione anche quando è consapevole che quel rapporto di lavoro non potrà mai più essere produttivo x le parti. I risarcimenti x tutela obbligatoria? E se il baratto fosse con un percorso mirato di outplacement? Non sarebbe una soluzione + efficace del pugno di riso risarcitorio oggi rischiato dalle aziende? Perché escludere a priori queste possibilità? L’Italia è un paese complesso non possiamo far finta che Bolzano sia in Sicilia! Licenziamenti giusti o licenziamenti facili? Ovviamente sono per la prima. Nulla di ingiusto deve essere consentito dalla giustizia (sarebbe una contraddizione nei termini). Ma anche qui ti invito a fere una riflessione maggiore: è più interessante rincorrere un’idea astratta di giustizia o ricercare l’interesse delle parti?
Scritto il 7-10-2011 alle ore 11:31
Federico 2:
3) Uguaglianza ex art. 3 Cost.: ma sei appena sceso da Marte? Ti sembra che il mercato del lavoro sia la traduzione dell’art. 3? Ti sembra che le garanzie per i lavoratori (sono tali tutti coloro che lavorano a prescindere dalla tipologia contrattuale) siano le medesime??? Direi proprio che è la negazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui al 2^ comma. La soluzione non può essere un semplicistico art. 18 x tutti, ma è da ricercare nella costruzione di un nuovo modo di coniugare i diritti. In una rete sociale di protezione più efficiente che non scarichi sulle imprese il suo pachidermico immobilismo. Un tempo si chiamava economica sociale di mercato, ti ricordi?
Scritto il 7-10-2011 alle ore 11:33
Federico 3:
4) Liberal/riformista e liberista: mi sembra che tu stia accomunando concetti un po’ diversi. Dubito che si possa dare del liberista a Sacconi o a Bonanni. Sicuramente, su fronti diversi, sono due riformisti. I principi liberali sono quelli che tu stesso invocavi all’inizio delle tue riflessioni. Quanto al sottoscritto, proprio non credo di potermi iscrivere al club di Fridman, casomai a quello di chi vede nei principi della libera impresa, della sussidiarietà, del rispetto del lavoro, della responsabilità sociale, idee guida per riorganizzare il nostro sistema regolatorio lavoristico.
5) Art. 39 Cost: condivido, peccato che l’articolo 39 sia un incompiuto. Ecco, in questo caso sono rigorista, come mai un articolo della costituzione (acc oltraggio alla sacralità … Costituzione) è incompiuto? Come ci possiamo permettere di dire: i padri costituenti scherzavano? Da questo punto derivano tanti guai, ma dalle tue riflessioni deriva anche la risposta ai problemi di costituzionalità dell’art. 8 che, non riguardando regolamentazione erga omnes di categorie di lavoratori (CCNL), non confligge con il comma 4.
Scritto il 7-10-2011 alle ore 11:35
Federico 4:
6) Marcegaglia, Marchionne, Confindustria: buona fortuna. Dico che sia ora che le parti sociali si riempiano di maggiori contenuti rappresentativi (paradossale che le OOSS abbiamo per la maggior parte iscritti pensionati e le OODD imprese controllate dal pubblico) e che comunque più si va in periferia e più si sente la realtà delle cose ed il morso dei problemi. Marchionne? Un’ariete, forse fa un po’ male con i suoi colpi ma apre strade che consentiranno di viaggiare meglio (mia auguro che allo stesso faccia vetture + capaci di reggere la concorrenza). Marcegaglia? Auguri per i suoi prossimi incarichi parlamentari (mhò l’ho detta grossa … però mica è un insulto ipotizzare/augurare a qualcuno di entrare in parlamento!)
Ancora grazie molte dell’opportunità che mi hai dato di riflette insieme su argomenti importanti: quando il cantiere è aperto tutti possono / devono lavorarci.
Scritto il 7-10-2011 alle ore 13:15
Si edifichi un sistema di sussidi/indennita per chi non trova lavoro e per chi lo perde a livello europeo (occidentale), poi si potrà anche abolire il 18 (fatte salve alcune evidenti discriminazioni,così come succede nei paesi più civili.Ma come Federico, credo che in Italia la ‘classe’padronale voglia’la moglie ubriaca e la botte piena’
Scritto il 7-10-2011 alle ore 13:46
Caro Paolo, ti ringrazio per i complimenti prima e per le articolate risposte (e soprattutto pacate, che di questi tempi è davvero cosa rara) che hai voluto così gentilmente espormi.
Proverò anche io a “controbattere” le tue argomentazioni in modo analitico.
1)tu scrivi che la gerarchia delle fonti non sarebbe stravolta dall’art. 8 e ricordi sul punto – e giustamente – che la legge dà già la possibilità di deroga alla Contrattazione in caso di altri istituti lavoristici come l’orario di lavoro, part. time, contratto a termine.
Il problema è che però tali deroghe vengono concesse praticamente in bianco dall’art. 8 senza specificare nessul limite, a parte la metodologia di approvazione da parte dei sindacati.
Cercherò di spiegarmi meglio.
Prendiamo ad esempio il D. lgs. n. 66 del 2003: l’art. 4 concede ai contratti collettivi di stabilire la durata massima dell’orario di lavoro settimanale che non può superare comunque le 48 ore comprensive di straordinario, anche riferendolo ad una media settimanale di un periodo di 4, 6 o 12 mesi. Ciò significa che nel periodo mensile di riferimento il lavoratore non deve comunque avere svolto una media di ore superiore alle 48 (se lavora oltre le 48 ore nei primi due mesi deve lavorarne di meno per gli altri due), ma il limite massimo di 48 ore medie stabilite dalla legge non può comunque essere superato.
Né tra parantesi potrebbe farlo l’art. 8, poichè la direttiva 104 del 1993 come modificata dalla n. 34 del 2000 comunque all’art. 6 non consente tale sforamento.
Ancora, è vero che l’art. 7 del decreto 368 del 2001 sul contratto a termine prevede che i CCNL (e solo quelli nazionali)individuino i limiti quantitativi delle assunzioni a tempo determinato, ma è anche vero che tali assunzioni avvengono rispettando sempre i limiti stabiliti dalla legge (ergo ci vuole sempre il rispetto del cd causalone di cui all’art.1).
L’art. 8 potrebbe invece consentire alla contrattazione aziendale di aggiungere nuove cause di assunzione a termine o, peggio, eliminare anche quelle presenti, consentendo un’assunzione a termine praticamente libera.
Oppure potrebbe ritornare alle assunzioni a termine sine die per cui si potrebbe avere una successione praticamente infinita di contrattia termine in frode alla legge (anche se – a ben pensarci – non sarebbe più tecnicamente una frode, perchè sarebbe la legge stessa a premettere tale frode).
Consentire una deroga alla legge senza porvi confine o porvi confini lati ed indistinti – a parte la procedura prevista dall’Accordo interconfederale del giugno 2011 – è una cosa, secondo me, estremamente pericolosa, perchè si abdica a quel minimun di tutele erga omens (e non sto parlando dei principi costituzionali che se non ricevono attuazione dalla legge ordinaria, il più delle volte restano sulla carta, vedi art. 46)che in uno stato di diritto dovrebbe riguardare tutti i cittadini (e torno a ribadire, perchè se questo è un principio oramai assodato anche nel diritto privato, il regno di elezione della libertà contrattuale, non dovrebbe più esserlo nel diritto del lavoro dove l’esigenza di protezione della parte debole è il fondamento stesso del suo essere ?).
2) licenziamenti: non mi è sfuggita la differenza tra conseguenze del recesso e licenziamento, in effetti e tutti gli esempi che fai sono perfettamente consoni (anche se magari non sono molto d’accordo sul ridurre il risarcimento di un lavoratore dimissionario a TD, in quanto sappiamo benissimo tutti e due che ai sensi del 2119 c.c. le dimissioni in caso di TD possono avvenire SOLO per giusta causa ed il più delle volte il lavoratore è costretto a dimettersi per pressioni del datore o addirittura perchè – ma spero che questa sia la patologia estrema e rara – il datore gli ha fatto firmare le dimissioni in bianco).
Sostituire la reintegrazione con un super risarcimento? Caro Paolo mi va benissimo (quale lavoratore vorrebbe tornare a lavorare con un datore che lo ha licenziato ingiustamente),purchè il risarcimento sia davvero maxi, si applichi a tutti i lavoratori – basta con la differenza tra chi sta sopra o sotto ai 15 dipendenti – e sia un astreinte non toccabile dalla giurisprudenza (leggi, non si può più decurtare le indennità di licenziamento con il principio dell’alinde perceptum o aliunde percipiendum).
Barattare il risarcimento con un percorso mirato di outplacement ? No grazie, sarebbe mettere in mano il futuro del lavoratora alla CSR del datore di lavoro ed abdicare ad una garanzia monetaria, aleatoria sì ma comunque tangibile e che forse potrebbe agire da deterrente (il licenziamento ingiusto costerebbe al datore) con una molto più vaga e molto più aleatoria (il datore potrebbe trovare molto più conveniente non adempiere all’accordo aziendale con il rischio che il lavoratore si ritroverebbe comunque in mano con un pugno di mosche).
Verissimo che Palermo non è Bolzano, ma proprio per questo la legge deve prevedere tutele minime inderogabili erga omnes o si rischia di non avvicinare Palermo a Bolzano, ma di fare di Palermo ancora più Palermo e di Bolzano ancora più Bolzano, se mi permetti il gioco di parole.
Ancora, sono d’accordissimo con te che è meglio l’interesse delle parti che un’idea astratta di giustizia, ma come ti avevo scritto, preferisco un giudice terzo che tutela il diritto del lavoratore anche quando questi sia costretto ad abdicarvi sotto ricatto o vi abbiano abdicato per lui sindacati, che un contratto che fa nella forma gli interessi di entrambi e nella sostanza gli interessi della parte più forte (a meno che la professionalità del lavoratore sia talmente rara ed eccezionale da rovesciare le posizioni di forza, ma questa, come dico anche agli esami ai ragazzi, è l’eccezione non la regola).
Scritto il 7-10-2011 alle ore 14:49
Putroppo Paolo, neanche avessi voluto farlo apposta è dell’altro ieri levento che muoiono operaie donne che lavoravano in nero a 3,95 euro all’ora. Lungi da me l’idea di “far caciarra” come tu dici. La realtà è però davvero diversa da quella che tu descrivi. Chi, come te, sta ben sopra è 2000 euro al mese fa fatica a pensare certe cose perchè l’aria di crisi non lo sfiora e quindi si sente libero di “piroettare” e dire come sia meglio che gli imprenditori possano licenziare liberamente e che anziche prevedere il reintegro ci sia una “nuona uscita” magari con pacca sulla spalla…tanto il problema non ci tocca…. Io credo vivamente che il mercato del lavoro vada trasformato e che servano nuove regole ma che non siano penalizzanti sempre e solo per la parte che “tira la carretta”…..Io credo ancora che lavorare “debba essere un diritto” allo stesso modo che percepire “un adeguato compenso”….Forse la contrattualizzazione per esempio dovrebbe introdurre il principio della “sussidiarieta” di cui molti si riempiono la bocca e nessuno applica. Forse l’impresa italiana, dovrebbe come nel resto d’Europa farsi carico delle problematiche dei suoi dipendent.Esempio:in Francia l’impresa aiuta il dipendente a trovare casa, fornisce latte e pannolini ai genitori con bambini piccoli, assicura in azienda l’asilo se non esiste in un certo raggio…In germania : il dentista è assicurato dalla mutua dell’impresa e il dipendente non ha bisogno di pagarselo privatamente, farsi l’intervento alla retina o sostituire il cristallino non deve pagarselo privatamente se è sopra una certà età,come fare le cure termali non sono considerate un lusso ma sono assicurate dall’azienda per cui lavori….
Allora….cominciamo a parlare seriamente di alcune cose e non blateriamo soltanto…scusami
Scritto il 7-10-2011 alle ore 14:56
e meno male che l’introduzione dei contratti flessibili dovevano ridurre il lavoro nero!!!(riferito alle prime 2 righe dello scritto precedente)”….Il caporalato in Lombardia….pensa bene!!! una volta era solo al sud… contratti flessibili?……..A me sembra che questo gran parlare intorno al tagliare i diritti dei lavoratori impedisca di pensare seriamente ad una nuova organizzazione del lavoro. Pensa, che io ancora credo che si possa riorganizzare rispettando quella norma costituzionale prima che dello statusto dei lavoratori che “lavorare è un diritto” …devono soltanto le parti accordarsi su equo ricompensa da una parte e profitto dall’altro. Forse anche quest’ultimo dovrebbe entrare nella norma…non so che un TOT basta all’impresa per vivere come tale, rinnovarsi e che all’imprenditore basta un tot di attivo….il resto va in retribuzioni e servizi….
Scritto il 7-10-2011 alle ore 15:46
Continuando il nostro dibattito…
3) No caro Paolo, non sono appena sceso da Marte, casomai ultimamente sono stato sui libri di diritto del lavoro, ma ho comunque seguito le cose “terrestri”.
Quello che dici a proposito della economia sociale di mercato è sacrosanto, e si chiama sistema Ghent, ovvero quel sistema di flessicurezza (che parola brutta in italiano) che regola la Danimarca ed i paesi scandinavi, ove vi è una flessibilizzazione massima in entrata ed in uscita, ma dove è lo STATO – ovverosia il soggetto deputato alla protezione di TUTTI i cittadini – ad accollarsi l’onere di sostenere e riqualificare, nonchè ricollocare i lavoratori disoccupati od inoccupati.
Più analiticamente tale sistema si basa su alcuni punti fermi:
a) un’imposizione fiscale fortemente progressiva che può arrivare a sfiorare il 60%;
b) un controllo fiscale funzionante che scoraggia l’evasione.
Grazie a ciò lo Stato è in grado di:
a) fornire al lavoratore disoccupato un reddito di cittadinanza pari al 90% dell’ultima retribuzione finchè non ritrova lavoro e
b) riqualificare e riallocare lo stesso in brevissimo tempo (di solito meno di un anno).
Ok, qualcuno dirà che è facile in Danimarca, sono solo – se non vado errato – 5 milioni, ma qualcuno diceva che tale sistema era esportabile anche, pur con i dovuti accorgimenti e difficoltà, anche nel nostro Paese.
Quel qualcuno si chiamava Marco Biagi; peccato che il governo di allora si appropiò solo della prima parte del suo lavoro e venne fuori il decreto 276/03, ovvero la flessibilità (?), mentre non se ne fece nulla della seconda parte, ovvero gli ammortizzatori sociali.
Risultato, il decreto Maroni – finiamola una volta per tutte di chiamarlo Biagi se non altro per rispetto del Professore che è morto – ha portato la peggiore specie di flessibilità, ovverosia la precarietà.
Tu dici che non si può risolvere il problema delle discuguaglianze nel mercato del lavoro – che per inciso è ciò di quanto più lontano possa essere dall’art. 3 Cost, e quasto perchè si è creata una differenza tra soggetti che i diritti ce li hanno e soggetti che non ce li hanno,e, scusa, la vedo dura riequilibrare il tutto togliendo i diritti anche a coloro che li hanno, invece di estenderli a coloro che non li hanno – con una generalizzata estensione dell’art. 18, ma casomai di tutte le tutele.
E se è l’art. 18 a fare tanta paura, come ho detto sostituiamolo con un maxirisarcimento ma per tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro numero nell’impresa e dalla loro tipologia contrattuale.
Qualcuno obietterà che per le piccole imprese il colpo economico potrebbe essere non sopportabile, ma fa parte del rischio d’impresa come scelta imprenditoriale sbagliata.
Perchè tutti si ricordano solo del primo comma dell’art. 41 Cost. e mai del secondo ?
Che c’è di sbagliato nel dire che l’iniziativa economica pur essendo libera non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità della persona umana ?
I nostri padri latini dicevano cuius commoda eius et incommoda: se sei imprenditore e licenzi qualcuno ingiustamente dovrai sopportare il costo della tua libera scelta imprenditoriale errata, tutto qui.
Vogliamo adottare il sistema Ghent, che è quello a cui la BCE faceva riferimento nella sua lettera quando parlava di flessibilizzazione in uscita o la UE quando parla di flexsecurity ?
Benissimo; iniziamo allora con una vera riforma fiscale progressiva, con aliquote sempre più alte all’aumentare dello scaglione di reddito e con un controllo fiscale all’americana, dove l’evasione fiscale è reato federale e le tasse non vengono evase, ma pagate (anche se poi la maggior parte finisce sulle spese militari, ma questa è un’altra storia…).
Poi lo STATO passerà a redistribuire tale gettito con il reddito di cittadinanza e con scrsi di riformazione e sistemi di ricollocazione dei lavoratori senza lavoro in un mercato veramente dinamico e funzionale.
Ma con questa classe politica – e non parlo solo del governo in carica – la vedo veramente dura…
Scritto il 7-10-2011 alle ore 16:27
4) Cosa significa liberal/riformista? Leopardi scriveva che “non c’è cosa più antica di quelle che essi chiamano novità”, basta mettersi d’accordo sul termine da usare.
E sì, Sacconi e Bonanni mi sembrano liberisti ma non da quello che dicono, ma da quello che fanno.
Non sono uno che va a rimorchio della Camusso, ma quando la stessa dice che la legislazione sul lavoro sta ritornando indietro ai tempi dell’800 non posso certo darle torto.
Perchè era ai tempi dell’800 che il contratto individuale era l’unica fonte regolativa del rapporto di lavoro, ove tutto era deciso dai rapporti di forza tra le parti e l’uguaglianza era solo formale e la libertà era solo di chi aveva le risorse (non vuoi lavorare per me, liberissimo di non farlo, ma la tua unica alternativa è la fame per te e la tua famiglia).
E nell’800 non si parlava di liberal riformismo, ma di liberismo.
Se poi con riformista si vuole riferirsi al cambiamento dello status quo allora sì, Sacconi e Bonanni sono riformisti, ma allora lo sarebbe anche chi vorrebbe reintrodurre l’istituto della schiavitù.
Ok forse ho esagerato con la provocazione e Te ne chiedo scusa, ma penso che l’esempio non è proprio sballato, perchè – come ho detto – è tutta una questione di mettersi d’accordo sul significato da dare ai termini che usiamo.
Quanto al fatto di essere “per i principi della libera impresa, della sussidiarietà, del rispetto del lavoro, della responsabilità sociale”, sono tutte cose estremamente condivisibili, però con moderazione.
La libera impresa come ho detto deve seguire i limiti di cui all’art. 41 Cost. altrimenti non sarebbe realmente libera e soprattutto lederebbe la libertà delle persone; la sussidiarietà – e qui mi inserisco anche su ciò che diceva Nico – non può arrivare al fatto che lo STATO si spogli totalmente della gestione del sociale, perchè è uno dei fini fondamentali dello STATO la protezione dell’individuo non solo da minacce interne d esterne, ma anche da tutti gli attacchi alla sua dignità e alla libertà (e quando intendo libertà mi riferisco alla libertà dal bisogno, che rende l’uomo schiavo molto più di qualsiasi piano collettivo quinquennale).
Ove lo Stato abdicasse alla sua funzione e desse tutto in mano al privato avremmo solo il risultato di avere individui che possono esercitare i loro diritti solo perchè hanno e non perchè sono.
La CSR, ottima cosa, ma se parte da una base legislativa uguale per tutti; la stessa UE ha definito la responsabilità sociale come il comportamento dell’impresa di andare oltre la legge, ma qui dobbiamo capirci.
Dopo l’art. 8 i lavoratori sono ancora titolari di diritti e poi portatori di interessi oppure sono SOLO titolari di interessi e non più portatori di diritti, posto che quei diritti di cui eerano titolari sono stati dati ai sindacati che possono derogarli ?
Da ultimo permettimi una domanda: hai detto che ho invocato principi liberali all’inizio del mio scritto…. ma io non me ne sono proprio accorto, anche a rileggerlo.
Sono è vero per il libero mercato, ma regolato DALLA LEGGE prima e dalla contrattazione collettiva poi: ben venga la flessibilità, ma con paletti chiari e precisi che impediscano ogni abuso, e se prima tali paletti ne vedevo già pochi oggi con l’art. 8 non ne vedo proprio più.
5) Art. 39.
Bella battuta sulla sacralità della Costituzione, però devo dire: che se era una battuta veramente, scusa ma non mi ha fatto ridere, e se eri serio allora io e Te partiamo proprio da due punti di vista TOTALMENTE ABISSALI.
La nostra Costituzione non è sacrale è vero, ma è rigida proprio per impedire che il primo capo di stato o di governo a cui non piace possa cambiarla a suo piacimento – come era lo Statuto Albertino, derogabile anche con legge ordinaria – e dopo il referendum del 2006, dove la stragrande maggioranza degli Italiani ha bocciato la riforma unilaterale del centrodestra la Costituzione formale è ritornata coincidere con quella sostanziale.
Prima di volerla cambiare, pertanto, vediamo di finire di attuarla.
Quanto all’art. 39 il problema sta proprio nell’interpretazione del comma 4 e Tu propugni che esso, non riguardando l’efficacia erga omnes dei contratti aziendali non riguarda l’art. 8.
Non sono affatto d’accordo: proprio perchè l’art. 39 parla solo dei contratti applicabili ai lavoratori dell’intero settore merceologico esso ESCLUDE che la stessa efficacia erga omnes possa essere data – in qualunque modo – ai contratti aziendali, perchè quei lavoratori sarebbero già coperti dalla contrattazione nazionale INDEROGABILE, almeno in peius.
E poi mi sembra molto strano che i nostri Padri Costituenti abbiano voluto un meccanismo costituzionale così articolato di garanzia per dare efficaia erga omnes alla contrattazione collettiva nazionale e poi volessero veramente permettere che bastasse una semplice legge ordinaria a dare la stessa efficacia al contratto aziandale o territoriale che sia.
Ma proviamo a ragionare in termini più soft: se anche i contratti aziendali rientrassero all’interno dell’art. 39, allora essi dovrebbero essere coperti anche dal procedimento previsto da esso per dar loro efficacia, ovverosia una rappresentanza unitaria dei sindacati che agiscono proporzionalmente in base agli iscritti.
E proprio per questo – chiudendo – io non mi fido affatto del sistema delle rsa, specie dove il voto spetta ad ogni rsa e non proprozionalmente in base agli iscriti del sindacato costituente (si rischierebbe di tornare agli Stati generali del 1789 dove clero e nobiltà volevano votare per stato, e avrebbero avuto la maggioranza quando in realtà rappresentavano meno del 10% della popolazione francese).
Scritto il 7-10-2011 alle ore 16:33
6) Marcegaglia, Marchionne, Confindustria: davvero buona fortuna.
Al Dritto di Detroit per continuare a fare come il mitico Laomedonte, re di Troia, che prometteva tutto a tutti e poi puntualmente si rimangiava la parola, e chi conosce un pò di mitologia sa benissimo che fine a fatto.
Alla Marcegaglia per la sua prossima carriera politica, e non è affatto un insulto augurare a qualcuno una carriera politica.
A Confindustria di sopravvivere- ma ne dubito – alla silurata dell’art. 8.
Scritto il 9-10-2011 alle ore 22:19
lalo dici delle cose corrette ma anche inesatte. i licenzimenti discriminatori non sono protetti dall’articolo 18, sono atti nulli e quindi non producono nessun effetto giuridico. chi licenzia una mamma nel primo anno di vita del proprio bimbo subisce le stesse conseguenze sanzionatorie (reintegrazione) sia che abbia 2 o 2000 dipendenti. è una mistificazione dire che l’art. 18 sia il centro di tutela del mondo. per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali concordo.
Scritto il 9-10-2011 alle ore 22:33
federico, ti faccio una proposta: tentiamo una sintesi nell’esposizione delle nostre idee nel nostri (stimolante) confronto.
1)hai fatto 2 esempi (dlgs 66/03 e dlgs 368/01 e le loro successive modifiche) che dovrebbero far scemare i tuoi dubbi: entrambe le normative, lo sai bene, sono recepimento di direttive comunitarie e pertanto non possono essere stravolte in alcun modo dagli accordi aziendali. nessuna agitazione quindi o peggio – non è il tuo caso – mistificazione.
2) conseguenze di licenziamenti: maxi risarcimenti, outplacement … non siamo d’accordo? bene ma almeno parlandone abbiamo dimostrato che è materia trattabile, perfettibile: facciamolo scegliere ai lavoratori se preferiscono un concreto aiuto x trovare nuovo posto di lavoro (outplacement) o € 3.000!
sull’art. 18 ho già espresso il mio pensiero e registro che purtroppo ci sono pregiudiziali ideologiche che impediscono spesso uno scevro confronto. peccato.
Scritto il 9-10-2011 alle ore 22:37
Attento Paolo.
I licenziamenti discriminatori sono protetti proprio dall’art. 18 indipendentemente dal numero di dipendenti dell’impresa, grazie alla l. 108 del 1990.
E’ vero che sono nulli, ma tale nullità viene fatta rientrare proprio nella tutela reale che è considerata come la più efficace per prevenire tale tipologie di licenziamenti particolarmente odiose.
Quanto al licenziamento della lavoratirce madre, la legge dice che non ha effetto, ma come sai meglio di me la dottrina si è praticamente “scannata” sul significato di tale mancanza di efficacia.
C’è che ha detto che il recesso è soltanto sospeso ed acquista i suoi effetti al momento in cui il bimbo inizia il suo secondo anno; chi invece vuole il licenziamento inesistente e come tale rientrante nel regime ordinario di dirito privato; chi invece nullo o soltanto annullabile per mancanza di giusta causa o giustificato motivo e come tale rientrante nell’ordinario regime di stabilità (reale od obbligatoria che sia).
Peraltro è vero che l’art. 18 non è il centro di tutela del mondo – chi lavora in una azienda sotto i 16 dipendenti non ne è coperto e continua a lavorare trenquillamente – ma una tutela forte contro i licenziamenti illegittimi – spero sarai d’accordo con me – è comuqnue necessaria, o il lavoratore sarà sempre pronto ad abdicare a qualsiasi diritto pur di non perdere il posto di lavoro che, a meno che non si abbia un conto in banca stratosferico, è l’unico mezzo di sostentamento dell’uomo e della sua famiglia.
Scritto il 9-10-2011 alle ore 22:51
federico.
3-4) prendo atto delle tue posizioni. ma qui non siamo più nel tecnico e quindi non posso che rispettare ciò che tu dici, condividendone assai poco i contenuti. mi auguro solo che il conservatorismo non tarpi le ali alle riforme. è facile mantenere, difficile rinnovare. auguro a questo paese una “primavera del diritto” che si basi sulla responsabilità di ciscuno (singolo, impresa o istituzione che sia)dia una scossa generale. ti ricordi i suggerimenti di mr. draghi e mr. trichet del 5/8, vero? lo sai che se chiedi un mutuo ad una banca e non offri le garanzie che pretendono i soldi non li vedi? pensa se gli chiedi di comprare un po’ di debit !!!… al di là dei manuali c’è la vita con i problemi reali e la nostra ripresa è il primo di questi.
5)ho il massimo rispetto di romolo, giulio cesare, papa leone che ci salvò da attila, mazzini, cavour, garibaldi,…. i padri della patria tutti e da ultimo i padri costituenti! a loro debbo molto della mia vita (sono la nostra storia e le nostre radici). nessuna ironia, ti assicuro. la carta costituzionale però non è il vangelo, è un sistema regolatorio fondamentale figlio di un momento storico. se dovessimo arrivare alla determinazione di modificarne alcuni punti (specialmente della seconda parte) non ci vedrei nulla di scandaloso. ti ricordi che belle le vetture che circolavano negli anni ’40? forse anche x loro oggi un tagliando sarebbe necessario pur rimandeno gioielli di ingegno e design.
Scritto il 9-10-2011 alle ore 22:58
federico:
6) marcegaglia: un po’ le invidio le fortune imprenditoriali di famiglia e, con ammirazione, ne riconosco grandi le capacità. stasera da fazio (… la classe operaia non è andata in paradiso ma i padroni vanni dappertutto … capperi però!)ha parlato più da leader del III polo che da ex capo degli imprenditori. aribuona fortuna (tanto ne ha da vendere)
marchionne … è troppo x essere giudicato. uno che senza soldi si compra la chrysler … non ha prezzo …
Scritto il 9-10-2011 alle ore 23:00
federico risposta in diretta. ahi ahi. sul licenziamento della lavoratrice madre, o della lavoratrice che si sposa … nullità non sospensione come avviene in caso di altri eventi sospensivi (malattia).
federico, giù le carte di che ti occupin nella vita?
Scritto il 9-10-2011 alle ore 23:13
nico, il riferimento che tu fai è così drammatico che non si può proprio “buttare in caciara”. sono convinto che il lavoro nero, il caporalato, il lavoro insicuro siano piaghe che vadano combattute con ogni mezzo. verso di queste piaghe deve essere concentrato lo sforzo di tutte le parti. sia punendo chi sbaglia sia sostenendo le imprese sane. personalmente mi occupo di sistemi di responsabilità sociale d’impresa e sarebbe bello che imprese virtuose venissero premiate, per esempio, negli appalti della PA senza puntare solo al ribasso della tariffa (spesso vera fonte di guai).
è vero ciò che dici, guadagno oltre 2000 € e sicuramente vedo persone intorno a me che se la passano peggio di me. provo a reagire, nel mio piccolo provo a creare occasioni di lavoro, a garantire ai miei collaboratori condizioni migliori di quelle contrattuali (condividiamo pienamente i fini della nostra attività e se va bene, va bene x tutti), a favorire l’incontro di domanda ed offerta x i miei clienti, a consigliare con prudenza i comportamenti dei miei clienti imprenditori, a favorire sistemi socialmente responsabili … e non considero affatto una colpa il reddito guadagnato onestamente. anzi, una prova che il mercato approva la tua linea e riesci ad essere più creativo della concorrenza!
le assicurazioni? guarda che ormai anche da noi le imprese si fanno carico di costi accessori a quelli retributivi (assicurazioni sanitarie, previdenza complementare …) se vuoi maggiori info vai sul mio post specifico sul fondo est.
Scritto il 9-10-2011 alle ore 23:39
Caro Paolo, è vero che gli esempi che ho fatto riguardano due leggi di recepimento di direttive comunitarie e quindi dovrebbero essere immuni all’art. 8.
Dico però “dovrebbero” perchè il governo, nel suo iter di destabilizzazione del sistema di diritto del lavoro ha più e più volte modificato tali decreti, anche inserendo norme che cozzano profondamente con le direttive di origine.
Una per tutti, quella di aver stabilito che il riposo settimanale può essere calcolato come media in un periodo non supeiore a 14 giorni, mentre la direttiva prevede un periodo di riposo di 24 ore ogni 7 giorni e 14 giorni (art. 5 direttiva UE 93/104).
Ora mi sorge il dubbio, che se ha sforato il governo con la legge di attuazione, non potrebbero ben farlo anche i sindacati con i contratti aziendali ?
E se succeddesse, il lavoratore non sarebbe forse costretto ad andare dal giudice ?
Mi era poi venuto un dubbio atroce… l’art. 8, tra le materie derogabili inserisce anche le modalità di assunzione.
Non è che si finirà per derogare anche alla legge sul lavoro minorile, posto che la stessa non è attuazione di una direttiva comunitaria e l’art. 37, comma 3 Cost. non mi dice le modalità di assunzione del minore ?
Mi spiego meglio: oggi dal coacervo di normative si può derivare che l’età minima è di 16 anni.
Può un contratto aziendale disporre un’età minore ritornando ai 15, ai 14 o addirittura scendere sotto ?
Quanto all’outplcement, un conto è il datore che è obbligato a trovarmi un posto direttamente lui, un altro è che soltanto obbligato ad aiutarmi a trovarlo senza essere obbligato al risultato (entro quanto tempo dura l’obbligo, con quali garanzie, e se non riesce a ricollocarmi, una pacca sulla spalla e via?).
No. molto meglio un risarcimento maxi – e 3000 euro è un risarcimento da fame – che un fumoso obbligo di aiuto a riconvertirsi.
E comunque resto della mia idea che deve essere lo Stato ad assumersi l’onere di riqualificare, riconvertire e ricollocare il lavoratore.
Da ultimo, io purtroppo non ho il dono della sintesi, ma sarei interessato a tentarla.
Dai tu il modello sintetico, io ti seguirò con le mie tesi.
Scritto il 10-10-2011 alle ore 00:11
Caro Paolo.
Risposta in diretta anche per me.
Non ho detto che il licenziamento della lavoratrie madre è sospeso, solo che qualcuno in dottrina e giurisprudenza – più precisamente la Cassazione a SU – ha propugnato tale tesi, che è stata subito dopo sbugiardata dalla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato nullo tale licenziamento.
3-4) Liberissimo di non condividere, il bello della democrazia è la dialettica e lo stimolo dato da chi non la pensa come te.
Anche io spero nelle riforme, ma non fatte sulla pelle dei soggetti più deboli.
vero che al di là dei manuali c’è la vita reale, ma è enche vero che la vita reale è fatta da pochi che hanno e non sono toccati dalla crisi, altri -spero pochi – che non hanno e non sono toccati dalla crisi e molti che hanno qualcosa e che con questa crisi rischiano di perdere quello che hanno.
E’ vero che se vai in banca e non dai le garanzie non vedi un bocco – il mutuo della casa in cui abito è a mio nome ma la fideiussione è dei miei – ma non è precarizzando i diritti dei lavoratori che le banche apriranno i cordoni.
Altrettanto vero che abbimo bisogno di riprenderci, ma attento che la cura da cavallo che Tremonti vuole iniettarci non ci faccia passare tutti i mali (i.e. ci ammazzi, come più di un autorevole economista ha detto).
5)La Costituzione non è il Vangelo e ci mancherebbe !!! Anche se poi molte delle istanze contenute nel Vangelo sono state riprese dalla nostra Carta costituzionale, tipo la protezione dei più deboli…
Hai detto che la Costituzione è un sistema regolatorio fondamentale figlio dei suoi tempi eppure io ci leggo tanti principi fondamentali che non hanno tempo né spazio e che sono universali (il rispetto e la protezione del lavoro, la tutela della dignità e della salute della persona umana, la libertà di religione, il pluralismo) e che qualcuno già 2000 anni fa aveva sintetizzato in un certo Discorso su una montagna…
Scherzi a parte, modificare la seconda parte della Costituzione non è scandaloso ma va fatto con oculatezza e soprattutto insieme, non a colpi di maggioranza.
E poi il tagliando che richiedevi in realtà la nostra bella macchina degli anni 40 l’ha già staccato, ed è stato – come ho detto – il referendum del 2006.
6)Il Dritto di Detroit non ha prezzo dici ?
Bah, senza soldi si è comprato la Crysler… sì è vero, anche perchè – ma queste sono le informazioni in mio possesso, e qundi le prendo io per primo con beneficio di inventario – quei soldi glieli ha dati la Presidenza americana, quindi tecnicamente non sarebbero stati i suoi…
Da ultimo OK scopro le mie carte.
Studio il diritto del lavoro da dieci anni, collaboro come “volontario” con due cattedre di diritto del lavoro (Perugia ed Ancona) e msto finendo il dottorato in diritto dell’economia alla Politecnica delle Marche con una tesi – manco a farlo apposta- su partecipazione e responsabilità sociale d’impresa.
Scritto il 10-10-2011 alle ore 14:30
ma perchè bisogna “vergognarsi” di dire la Costituzione non si tocca? Anche altri paesi riconoscono che la nostra Costituzione è tra le migliori…perchè cambiarla? E perchè cambiarla al ribasso…togliendo diritti… Sembra che cambiarla sia la panacea dei mali come licenziare toutcourt…su su..siamo un tantino più seri..
Scritto il 11-10-2011 alle ore 18:33
federico. devo dire che è molto interessante trovarsi davanti una persona competente ed appassionata con cui confrontarsi (in fondo il significato di questo blog è proprio confrontare tesi con la consapevolezza che, in questo campo, nessuno sia portatore di verità assolute).
sul merito di quello che tu dici … solo un appunto. considera che l’art. 8 fa riferimento anche alle convenzioni OIL che in materia lavoro minorile sono decisamente rigorose. quindi don’t worry. nessun accordo permetterà mai lo sfruttamento di un minore (però con l’esempio offendevi la tua intelligenza … è vero che tutto è possibile ma … lo sfruttamento dei bimbi al lavoro con accordo sindacale !!!!???).
nel farti i complimenti per i tuoi incarichi accademici (ovviamente era chiara una tua approfondita conoscenza della materia) rilevo con stupore due elementi che connotano le tue ricerche: responsabilità sociale e partecipazione dei lavoratori. questo è sorprendente. proprio l’approfondimento delle tematiche dovrebbe farti giungere su posizioni meno drastiche e più aperte nel considerare l’azienda in modo più dinamico, un luogo in cui le parti finalizzano la loro attività verso scopi comuni, in cui il conflitto sia una variabile eventuale e non un paradigma preventivo.
personalmente mi occupo in modo professionale di CSR sia al livello consulenziale che in qualità di lead auditor per la certificazione SA8000. ritengo sia un tema che possa aiutare a riscoprire, superando approcci ideologici, l’essenza di quel primario rapporto economico che è il contratto di lavoro.
quanto al discorso della montagna, anche in questo caso la dottrina sociale della chiesa può essere un volano importante. ho avuto l’ardire di commentare la “caritas in veritate” in più occasioni (anche su postilla http://paolostern.postilla.it/2009/10/26/benedetto-e-il-lavoro/) ed ogni volta che la rileggo trovo spunti a dir poco illuminanti
Scritto il 11-10-2011 alle ore 18:34
nico, rispetto ovviamente le tue opinioni. prendo atto.
Scritto il 11-10-2011 alle ore 19:25
Caro Paolo.
Effettivamente con il lavoro minorile ci sono andato giù un pò duro, ma l’intenzione era proprio quella di essere un pò provocatorio…
E’ vero che ad impedire lo sfruttamento del lavoro mnorile ci sono gli obblighi dell’OIL, ma è pur sempre vero – e tu hai detto che tutto è possibile – che potremmo ritornare indietro ad un abbassamento dell’età e questo più che una riforma io la considererei un passo indietro.
Peraltro, ricercando su partecipazione e CSR sono convinto anche io che partecipazione non è conflitto e che l’art. 46 Cost. non è stato mai attuato perchè – da entrambe le parti, purtroppo – non si volle capire che imprenditore e lavoratore sono tutti sulla “stessa barca” e che collaborazione significava “partecipazione”.
E quando intendo partecipazione non intendo informazione e consultazione, bensì cogestione alla tedesca o almeno codeterminazione mediante un organo sindacale o dei lavoratori (in Italia dobbiamo ancora decidersi se vogliamo il canale unico o quello doppio di rappresentanza).
La CSR come ho deto sarebbe un ottimo metodo di arrivare anche a soluzioni partecipative, ma il più delle volte è vista come mero rispetto delle regole presenti e non come vorrebbe la UE come un “andare oltre la legge”.
Occorrerebbe quindi un cambiamento della mentalità imprenditoriale che divenisse veramente etico; non dico che sul punto la legge non possa aiutare, ma non è certo con l’art. 8 che si incentiva la partecipazione.
Al massimo si incentiva la contrattazione – e la contrattazione è figlia del conflitto caro Paolo, dopo 5 anni che studio queste cose oramai lo do per assodato – che non è partecipazione, specie quando una delle due parti è più forte.
Ed il sindacato oggi è in una profonda situazione di debolezza, e non rappresenta più i lavoratori (lo dicevi tu stesso prima: la maggior parte delle OO SS hanno pensionati come iscritti e sono disposti ad abdicare sui diritti dei lavoratori, ma non su quelli dei pensionati).
Ho studiato a fondo il metodo Pomigliano-Mirafiori e devo dire che ne sono rimasto profondamente amareggiato: in esso non ho trovato “partecipazione”, ma un sindacato subalterno all’impresa che baratta le sue prerogative di difesa dei diritti con un posto nelle commissioni bilaterali, ove, alla fine, l’ultima parola è sempre dell’azienda.
Questo non favorisce l’unità di interessi, bensì il conflitto, purtroppo.
Io sono il primo che vorrebbe “buttare a mare” il conflitto, ma le “riforme” del diritto del lavoro che il governo ha portato avanti dal 2001 in poi sembrano fatte per attizzare il fuoco, e non certo per spegnerlo. Il Ministro Sacconi ha detto che vuole un Sindacato “complice” non partecipativo. Pessima scelta lessicale: a me un sindacato complice mi sa tanto di sindacato “connivente”…
Da ultimo, scusa, ma secondo me considerare il rapporto di lavoro come un semplice rapporto economico è estremamente fuorviante.
Potrà essere economico per il datore, ma non per il lavoratore, il quale senza tale rapporto non può sostenere né sé stesso, né la sua famiglia.
E questo pensiero è anche una delle basi della nostra Costituzione e del nostro ordinamento democratico. E’ una cosa orami assodata sin dagli anni 50, basta ricordare sul punto un bellissimo articolo del Prof. Calmandrei sul diritto di sciopero…
Scritto il 11-10-2011 alle ore 19:57
questa volta sono quasi gli aspetti sui quali concordo rispetto ai punti di disaccordo. vedi federico che parlare è sempre utile. ok, però ora finito l’idillio. torniamo a “pugnare”.
contratto di lavoro: l’ho definito primario rapporto economico. su questo ci si costruisce la vita ecco perchè ritengo che l’elemento fondamentale sia la responsabilità delle parti. non si costruisce un rapporto fiduciario se non ci si comporta con responsabilità (sociale ed individuale).
che il sindacato sia in fase di ripensamento di se stesso è vero, ed aggiungo: meno male! se è in situazione di debolezza è perchè ha sognato che il lavoro e le sue protezioni cadessero dall’albero come pere mature. la realtà gli ha gettato in faccia una secchiata d’acqua gelata … il risveglio è stato un po’ brusco ma molti danni sono stati fatti in questi anni recenti.
quanto alla partecipazione, condivido c’è tanta strada da fare ma è uno degli obiettivi delle famigerate intese dell’art. 8.
Scritto il 11-10-2011 alle ore 20:50
Come ho giustamente ascoltato da un magistrato in un recente convegno: l’art. 8 – seppur condivisibile nel fine – è il risultato di un legislatore poco coraggioso che rimette alle parti collettive facoltà che gli elettori hanno affidato invece a questa bizzarra “compagine” governativa.
Condivisibile in quanto è fisiologico che coloro che partecipano direttamentete alle sorti di una azienda possano incidere anche sulla struttura organizzativa della stessa, adeguandola alle esigenze del caso. Ma irrazionale considerato l’estrema genericità della norma e l’inclusione di alcune materie (art. 18, resp. solidale appalti, etc.) che non possono essere demandate – se non con determinati paletti anche dimensionali – ai livelli territoriali/aziendali (pensate alle piccole aziende ed a eventuali sindacati di comodo), ma che dovevano essere regolamentate pur in maniera innovativa da un parlamento (non il solito decreto legge) consapevole degli interessi e diritti che si vanno a toccare.
Una normativa capace di prendersi, una volte per tutte, la responsabilità di recepire le esigenze di un sistema produttivo nuovo sotto entrambi i versanti (datori e lavoratori) e di superare il costante ed increscioso divario tra insider (assunti a tempo indeterminato; dipendenti di aziende con la tutela reale) ed outsider (personale a termine, dipendenti di piccole aziende, etc.) del ns. mercato del lavoro nella prospettiva di un diritto dei lavori progressivo, aperto a tutti e veramente riformista.
Scritto il 12-10-2011 alle ore 16:17
Beh, sono contento che alla fine qualche punto di accordo lo si ritrovi…
Ma continuamo pure la nostra “pugna” caro Paolo.
Tu parli di responsabilità e che giustamente non può aversi un rapporto fiduciario senza responsabilità individuale e/o sociale.
Giustissimo, ma tale responsabilità non può essere a senso unico, ma compete ad entrambe le parti, sia lavoratore, sia imprenditore.
Il lavoratore ha dei diritti inviolabili sanciti dalla Costituzione, ma anche la responsabilità di “collaborare” con l’imprenditore ed adempiere ai suoi obblighi contrattuali con la “diligenza richiesta dalla prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa” e, perchè no, anche “da quello superiore della produzione nazionale” come vuole l’art. 2104 cc.
Ovvero il lavoratore deve avere una diligenza, e quindi una responsabilità, superiore -e giustamente- a quella del “buon padre di famiglia” ovverosia l’uomo medio.
Ma la responsabilità è bilaterale: l’imprenditore è libero nella sua iniziativa privata, ma ha la responsabilità di non utilizzare tale libertà contro l’utilità sociale nè contro la sicurezza, la libertà e la dignità della persona umana.
Ed i paletti che individuano la responsabilità dell’imprenditore li può dare solo la legge, ovverosia l’unica fonte superiore efficace erga omnes in grado di individuare un minimum di tutela inderogabile ed uguale per tutti.
Tu che hai commentato l’enciclica della Caritas in veritate, non ti sarà sfuggito il passaggio ove il Pontefice afferma che prima ancora della caritas c’è la giustizia, e che prima di dare all’altro il “mio” amore, devono riconoscergli il suo “diritto”.
Fuor di metafora, prima di far affidamento alla responsabilità sociale d’impresa, riconosciamo i diritti ex lege, e poi poniamoci in un ottica “oltre” di essa.
Secondo, affermi che il sindacato è in fase di ripensamento: io direi che è in fase di crisi nera, in quanto pur di salvarsi come apparato burocratico sta rinunziando al suo ruolo teleologico, ovverosia la difesa dei diriti dei lavoratori.
Il sindacato non ha sognao che lavoro e tuele venissero dall’alto, ma ha combattutto durante gli anni 60 e 70 per conquistare qui diritti dei lavoratori che erano rimasti solo sulla Carta della Costituzione.
La sua pecca è stata semmai quella di credere che tali diritti fossero inteccabili e che non bisognasse continuare ad essere vigili…
Forse la sua pecca originaria fu – ma ebbe la sponda dell’intransigenza datoriale – che la Carta Costituzionale gli forniva un formidabile strumento per entrare nella stanza dei bottoni – leggi l’art. 46 – e le ideologie sclerotizzandosi impedirono di cogliere tale occasione che, spero con tutto il cuore, non sia passata per sempre.
Ma ai tempi di oggi sull’attuazione dell’art. 46 non ci scommetterei più un soldo bucato.
Per Davide, l’art. 8 è condivisibile solo nelle finalità che enumera la primo comma, e nel volere implementare la contrattazione di secondo livello.
Ma tali finalità sono solo una finzione, in quanto chi ha proposto tale articolo sa benissimo che tale articolo non raggiungerà mai nemmeno una di dette finalità, se non altro per come è strutturato.
Certo Draghi e Trichet chiedevano nella loro lettera una riforma che rivoltasse l’Italia come un calzino, ma la chiedevano con un decreto legge, ovvero con uno strumento strutturalmente e teleologicamente inadatto ad una riforma strutturale, non dico del solo diritto del lavoro, ma anche di molte altre parti del nostro ordinamento giuridico.
Vogliamo superare una volta per tutte il divario tra insider e outsiders ? ok, le cose da fare sono due e completamente opposte: o si estende l’art. 18 a tutti e si vede cosa succede – ma nenache io mi sentirei pronto a ciò – oppure si riforma in toto il diritto del lavoro, fondando una serie di tutele minime, forti ed inderogabili uguali per TUTTI i lavoratori – tipici o atipici che siano – e si costruisce sempre un sistema di previdenza ed assistenza altrettanto FORTE a carico dello Stato – se poi nel mercato ci si vogliono inserire anche i privati ben vengano – che permetta di sopportare i costi sociali della flessibilità e che ne prevenga la trasformazione in precarietà.
E’ vero che anche la Caritas in veritate parlava di “assistenza prolungata pubblica o privata” come fattore di degrado, ma per la miseria, tale assistenza deve comunque esserci per intervenire in un primo momento e per ricollocare il lavoratore poi, altrimenti si avranno – testuali parole – quelle forme di “incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione” che divenendo endemiche, “creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza” !
Scritto il 12-10-2011 alle ore 17:15
Cari Paolo e Federico, il vostro dialogo è molto interesante. A Federico vorrei dire che da la sensazione di volare troppo alto rispetto alla situazione in cui oggi si trovano lavoratori ed imprese già diversa da quella in cui i sindacati hanno avuto modo di operare a tutela dei diiriitti dei lavoratori.
Oggi è necessario se non vogliamo farci male cercare una soluzione che allegerisca le complicazioni, leggi oneri, che gravano sul mondo del lavoro sia per l’imprendiitore sia per il lavoratore. La difesa ad oltranza dei diritti acquisiti mette in seria difficoltà chi si approccia per la prima volta al lavoro che è costretto ad accettare il ruolo di outsider perchè solo questo gli viene offerto.
Questa è la situazione che il sindacato intende ignorare perchè le soluzioni che si vanno prospettando confliggono con quei diritti acquisiti.
Purtroppo la torta si è ridotta ed è giusto venga equamente ridistribuita.
Previidenza e assistenza assicurata dallo Stato: questa è utopia perchè lo Stato fa già troppo e non può durare. Piuttosto riconsideriamo come vengono gestiti i contributi che aziende e lavoratori versano agli istituti previdenziali, Inps per intenderci.
Scritto il 12-10-2011 alle ore 18:46
Caro Paolo, innanzitutto grazie per aver definito il dialogo interessante.
E’ bello sapere di aver aperto un dibattito interessante che coinvolge e stimola la dialettica.
Secondo te dò l’impressione di volare troppo alto rispetto alla situazione odierna ?
Beh, forse è vero, ma allora volavano troppo in alto anche i nostri Padri Costituenti quando scrissero la nostra Carta fondamentale, i quali, peraltro, si trovarono ad operare in una situazione non molto diversa, e per certi aspetti anche peggiore – si doveva ricostruire praticamente da zero un Paese totalmente distrutto da una guerra sia civile che mondiale – di quella odierna.
Tu hai scritto che “Oggi è necessario se non vogliamo farci male cercare una soluzione che allegerisca le complicazioni, leggi oneri, che gravano sul mondo del lavoro sia per l’imprendiitore sia per il lavoratore”, ma poi hai aggiunto che “La difesa ad oltranza dei diritti acquisiti mette in seria difficoltà chi si approccia per la prima volta al lavoro che è costretto ad accettare il ruolo di outsider perchè solo questo gli viene offerto”.
Ora, se interpreto bene la tua equazione è oneri per le imprese e per i lavoratori=diritti dei lavoratori, o, il che è lo stesso, diritti dei lavoratori=oneri per le imprese e per i lavoratori.
Beh, sì, da un punto di vista liberista puro è un’equazione che non fa una grinza, senonchè negli Stati Uniti, ovvero la terra del liberismo puro e del recesso at will, la mcrisi morde come da noi e la discoccupazione è al 19%.
E’ vero che gli outsiders vanno protetti, ma non è trasformando tutti in outsiders precari che si risolveranno i nostri problemi di crescita e di competitività sui mercati.
Ec io, prima ancora per una questione di diritto e giustizia sociale come vuole la nostra Costituzione, per una ragione economica.
Una regolamentazione del lavoro “fai da te”, diversa per ogni azienda e tendente a ridurre gli oeneri/diritti forse potrà consentirci di porre le nostre imprese su un piano concorrenziale con – diciamo – la Cina per qualche tempo (un anno, due, forse cinque), ma sarà sempre un risultato di breve periodo, che si rivelerà disastroso nel lungo.
E questo per una semplice ragione economica: il lavoratore precario preferirà mettere da parte la maggior parte del suo – misero – stipendio, per formarsi quelle assicurazioni sociali, sanitarie, di disoccupazione, che nessuno più gli garantirà.
E questo frà girare meno soldi, e come tutti sappiamo, meno soldi uguale meno consumi e meno consumi uguale meno profitto per le imprese, ameno che si convertano tutte per l’export.
Pertanto ritorno al secondo corno del problema: riforma del diritto del lavoro e degli ammortizzatori sociali dove le Stato gestisce le risorse per una loro più giusta ed equa redistribuzione.
E ribadisco lo Stato, il quale oggi non fa nè troppo nè nemmeno abbastanza.
Il sistema assistenziale e previsenziale pubblico è stato una delle più grandi innovazioni e conquiste della nostra Costituzione, ma purtroppo la nostra classe politica non è stata capace di gestirlo al meglio, e questa non è colpa dello Stato, ma di chi amministra la cosa pubblica, è un discorso ben diverso.
E’ vero quello che dici, che dovremmo riconsiderare “come vengono gestiti i contributi che aziende e lavoratori versano agli istituti previdenziali, Inps per intenderci”.
occorre una radicale riforma delle pensioni, è ovvio, a cominciare dai baby pensionati, ma pensate un attimo: non sono proprio sulle pensioni che una parte della maggioranza (leggi Lega) ed i sindacati c.d. riformisti (leggi CISL e UIL) hanno fatto muro ? perchè tali forze, subito pronte a buttare a mare i diritti dei lavoratori, hanno fatto quadrato sui pensionati ?
E sotto certi aspetti anche per fortuna, dato che noi giovani outsiders se riusciamo ancora ad andare avanti è perchè abbiamo l’aiuto economico dei nostri genitori insiders, e non oserei nemmeno pensare che succedesse se non fosse così. Ma quando tale appoggio verrà a mancare cosa accadrà? quando toccherà a mia figlia (due mesi giusto ieri) entrare nel mondo del lavoro, o dovrà esserci stata una rivoluzione epocale, oppure se dovessimo trovarci ancora in queste condizioni io non potrò fare nulla per lei dato che la pensione io non credo che la vedrò mai.
Piccolo sfogo personale, vi prego di non badarci troppo.
Però su un punto voglio insistere. Un sistema forte di ammortizzatori sociali gestito dallo Stato non è utopia, e Marco Biagi lo aveva capito.
Sono forse più stupidi di noi Danimarca, Svezia e Norvegia che adottano il sistema Ghent ? oppure la Germania con la Mitbestimmung (partecipazione cogerstionale dei lavoratori alla gestione dell’impresa)?
A vedere come tali paesi reagiscono alla crisi direi proprio di no.
E allora perchè non facciamo come loro?
Semplicemente – ma è il mio pensiero, badate bene – perchè non abbiamo la mentalità realmente riformista per farlo, e continuamo a fossilizzarci su piani alla giornata o di breve perido – precarizzazione dei diritti – che non su quelli a lungo (reale riforma è delle leggi e delle visioni sia imprenditoriali sia sindacali).
Piani che -oramai è assodato e questa crisi economica ne è la dimostrazione – non ci porteranno da nessuna parte.
Scritto il 12-10-2011 alle ore 20:21
omonimo amico benvenuto.
con federico ormai il confronto potrebbe andare avanti ad oltranza ma da responsabile del blog richiamo all’ordine. cerchiamo di attenerci al tema del post. e lo dico anche a me stesso perchè la tentazione di ragionare a tutto tondo è troppo grande e stimolante.
concordo con la necessità di ottimizzare le risorse delle imprese. appesentire il costo del lavoro significa frenare l’occupazione. lo stato dovrebbe fare un passo indietro? si ma per farne due in avanti. mi spiego. lasci gestire, in un funzionale sistema di sussidiarietà orizzontale, le cose a chi sa farlo in modo più efficiente ed attivi rigidi controlli. si libererebbero risorse importanti avviando processi economici virtuosi. servizi pubblici gestiti da privati = pubblica la funzione in efficiente gestione.
ok mi autorichiamo all’ordine. art. 8.
federico ha detto tante cose corrette ma (a mio parere) cade su un punto fondamentale. per fare le riforme bisogna partire dall’esistente, dal contingente e non dall’utopico. ti ricordi chi ha inverito l’ordine di tali fattori che razza di disastri ha combinato? chi si è inventato l’uomo nuovo e visto che in giro ne trovava solo di vecchi li sterminava (… federico ci sono andato giù pesante anch’io dopo la tua dei bimbi sfrtuttati con accordo UIL!). e che c’entra? e si perchè quando federico dice che un DL non è lo strumento giusto e che (esegero di nuovo) ci vorrebbe una manovra organica in cui un legislatore attento in armonia con un esecutivo forte, sotto l’occhio vigile di una magistratura unicamente custode delle leggi e con l’apporto di parti sociali in dialettica interlocuzione … o vuole giocare o gattopardeggiare (parlate, parlate tanto cambia nulla!). e invece no, in modo rozzamente creativo qualcosa si muove, un muro si sgretola. la crisi genera forza inaspettate (lo diceva schumpeter mica paolo stern) tra l’annaspo generale di questi giorni c’è una squadriglia di men at work che cerca di non giocare al tanto peggio tanto meglio. insomma – chiudo – giusto criticare, giusto auspicare mondi migliori, ma intanto attiviamo gli strumenti che ci sono, senza snobismi di casta e cercando di migliorare le cose anche rischiando di sporcarsi un po’ le mani. x gli aggiustamenti di tiro c’è tempo.
Scritto il 12-10-2011 alle ore 20:26
davide (commento 48) hai ragione, serebbe stato meglio … ma ora abbiamo l’art. 8 e se provassimo ad utilizzarlo? magari il magistrato “mentore” si riapproprierebbe della sua funzione ultima di controllore del sistema. perchè si preoccupa lui? se le parti debordano i diritti dei singoli sono ben protetti dalla magistratura. altrimenti che funzione avrebbero gli amici togati? solo fare convegni?? (questa era cattivella e me la autocensuro)
Scritto il 12-10-2011 alle ore 22:08
Beh sì Paolo, la nostra querelle potrebbe andare avanti effettivamente sine die tanto è stimolante e coinvolgente il ragionamento a tutto tondo.
Certo… con l’ultimo post ci sei andato giù veramente duro…
Allora, ricapitolando:
1) io sono un utopista che non tiene i piedi piantati al suolo e che, partendo non dal contingente, il mio pensiero si avvicinerebbe a quello di chi, cercando di portare il paradiso sulla terra, ci ha portato invece l’inferno (i. e. Hitler e Stalin su tutti);
2) quando parlo di attuazione del sistema di flexsecurity europeo tanto decantato dai nostri “riformisti”, ovvero il sistema Ghent – o comunque un sistema democratico fondato su, ah sì, un potere legislativo attento al bene comune, con un esecutivo forte ed ispirato e con un sistema giudiziario custode delle leggi, e parti sociali in costante sinergia tra loro – o sono un bambino che gioca, ergo non connette la bocca col cervello, o sono un politico gattopardesco che si riempie la bocca di parole di cambiamento sperando che tutto resti così com’è.
Fiuuuuu, gran belle bordate non c’è che dire.
Bene, chiudo allora dicendo solo questo. Un sistema con:
1) un legislatore attento;
2) un esecutivo democraticamente forte;
3) un sistema giudiziario custode delle leggi e, perchè no
4) parti sociali in dialettica interlocuzione,
più che “sistema utopico” io lo definirei “sistema democratico” ed è, ma guarda un pò, il sistema previsto dalla nostra Costituzione.
Che poi facendo appello al contingente ognuno voglia crearsi il proprio sistema in fondo non c’è nulla di male, peccato che la legge uguale per tutti, sia ancora – e sarà sempre – fondamento di ogni stato di diritto e custode anche di quel mercato senza regole che oggi è divenuto la panacea di tutti i mali.
“In modo rozzamente creativo qualcosa si muove”… verissimo, ma è quel “rozzamente creativo” che stona… perchè se il contingente giustifica qualsiasi creazione, anche la più rozza, allora non abbiamo più bisogno di uno stato di diritto, ma qualsiasi sistema va bene (il duce non era l’uomo della provvidenza venuto a risollevare le sorti di un’Italia prostrata dal Primo dopoguerra?)
Il Prof. Rossi diceva che se le regole del gioco si trasformano nel gioco delle regole, allora si ritorna allo stato di natura dove vige una sola regola, quella del più forte.
Provocazione per provocazione, vogliamo ritornarci ?
Il legislatore è sovrano anche in questo, ma finchè non si cambia la nostra Legge fondamentale certi limiti non possono essere oltrepassati.
E l’art. 8 quei limiti non li ha semplicemente oltrepassati, ma li ha sgretolati con la forza di una bomba all’idorgeno.
“Intanto attiviamo gli strumenti che ci sono”, già, ma l’art. 8 non c’era, c’era, casomai, l’Accordo interconfederale del giugno 2011, e da quello si doveva partire.
Ma il nostro Ministro Sacconi – giustamente definito un “inguaribile ottimista” – ha preferito inventarsi quest’aborto giuridico per far piacere a non so chi (anzi, lo so, ma è giusto non fare nomi) con una azione inutile, inopportuna e dannosa.
Personalmente – e qui chiudo definitivamente perchè non vorrei veramente che il post degenerasse e che quella che era nata come una bellissima disputatio dialettica diventi una caciara a chi grida più forte “Ho ragione IO !!!!” – dò “utopisticamente” all’art. 8 non più di un anno di vita, giusto il tempo di farlo arrivare alla Corte Costituzionale, e sempre che non intervengano, nel frattempo, “aggiustamenti di tiro”.
Scritto il 12-10-2011 alle ore 22:46
gran finale federico. la mia replica?
quando passi per roma (nel mio profilo ci sono le mie coordinate) fammi uno squillo, conosco una birreria fantastica!
un caro saluto
paolo
ps
nell’anno di vita che dai all’art. 8 farò il possibile perchè divenga strumento di sviluppo e libertà!
Scritto il 13-10-2011 alle ore 13:23
Ormai il discorso si sta affievolendo, permettetemi di aggiungere una considerazione: la nostra Carta Costituzionale riconosce al lavoro il massimo delle tutele e di conseguenza attribuisce alla magistratura la possibilità di intervenire a tutela di quei diritti.
Essendo questo un punto fermo, dobbiamo oggi tener conto di una realtà, direi nuova, che ci obbliga a trovare delle via d’uscita ad una situazione che vede in pericolo tutto il sistema dei diritti acquisiti e delle prospettive per i giovani lavoratori anche perchè il nostro Stato a causa dell’alto indebitamento ha le mani legate.
E qui si innnesta la problematica legata ai paesi emergenti che hanno un costo del lavoro immensamente più basso del nostro relativamente alla quale è opportuno che la Comunità Europea ponga delle barriere alle importazioni per tutelare la possibilità di produrre al nostro interno anche perchè oramai è per noi in discussione la possibilità di ipotizzare trend di sviluppo superiori ad un 2% se va bene.
Cosa c’entra tutto ciò? C’entra perchè evidenzia la necessità di ripensare a tutto quanto è stato fatto sino ad oggi.
Scritto il 13-10-2011 alle ore 13:57
Non condivido la tua affermazione “Essendo questo un punto fermo, dobbiamo oggi tener conto di una realtà, direi nuova, che ci obbliga a trovare delle via d’uscita ad una situazione che vede in pericolo tutto il sistema dei diritti acquisiti e delle prospettive per i giovani lavoratori anche perchè il nostro Stato a causa dell’alto indebitamento ha le mani legate.”…
Scritto il 13-10-2011 alle ore 14:00
Federico sei grande!!! Sappi che come te la pensa la maggior parte degli italiani…C’è chi non è avvezzo alla democrazia e chi i diritti li riconosce soltanto quando lo toccano personalmente!! bravo
Scritto il 13-10-2011 alle ore 20:49
La democrazia in un contesto di mercato (quando esistono) è un rapporto di forza tra ‘chi ha e chi non ha’,dove chi ha,inevitabilmente vince e quando vince, comincia inesorabilmente a perdere
Un assurda costruzione umana, dove gli schieramenti dipendono(normalmente)dal tornaconto
(spesso supposto)personale
Scritto il 14-10-2011 alle ore 13:48
grazie nico x il comizietto. in questo blog ci sono delle regole, la prima è il divieto di insulto ed offesa tra i partecipanti. visto il modo con cui hai risposto a paolo … non sentiremo la tua mancanza se deciderai di non frequentare questa zona virtuale fatta per discutere e non già per insultare.
Scritto il 14-10-2011 alle ore 13:50
giovanni che dire … la democrazia è quello che dici tu? ne sei sicuro? vedi altri scenari migliori? non so proprio. personalmente qui mi limito a raccogliere pareri ed opinioni sull’art. 8
Scritto il 14-10-2011 alle ore 15:27
Sig Stern che lei sia favorevole al licenziamento’libero’è palese, meno chiare mi sono le ragioni, per questa sua posizione.
Le può spiegare?
Scritto il 14-10-2011 alle ore 20:01
giovanni cerco di chiarire la mia posizione sui licenziamenti. e cercherò di farlo in modo schematico:
1) nessuna pietà per licenziamenti discriminatori (x motivi ideologici, sessuali, razziali, religiosi) o per lavoratrici alla prese con primarie esigenze familiari (matrimonio, maternità, assistenza a minori ecc..). sono atti nulli e quindi incapaci di imprimere conseguenze giuridiche. sono carognate e devono essere sanzionati pesantemente;
2) reintergazione obbligatoria per licenziamenti annullabili: qui non concordo. il giudice dovrebbe poter quantomeno poter valutare se, nel singolo caso, sia meglio optare per un risarcimento economico o per la ripresa lavorativa. oggi il giudice è incatenato ad una unica scelta;
3) risarcimento del danno: si deve prevedere una formula che tenga conto di esigenze aziendali, dimensioni dell’impresa, contingenze di mercato, comportamento del lavoratore. la strada imboccata con le modifiche apportate dal collegato lavoro mi sembra andare in questa direzione.
concludo dicendo che non sono per un far west di liberi licenziamenti ma per un mercato in cui, nel caso le parti non trovassero più comunanze di intenti, si pensasse più a nuove opportunità di lavoro per chi ha perso l’occupazione che a rimettere insieme in modo artificioso parti contrattuali che hanno perso reciproca fiducia.
il lavoro si protegge con il lavoro e la responsabilità più che con le catene legali.
responsabilità (mi ripeto) di entrambe le parti come in ogni rapporto contrattuale.
quanto mi piacerebbe vedere scendere in strada tutti i milioni di ragazzi che con forza e decisione vanno avanti pensando a fare più che a chiedere: agli indignatos preferisco gli impegnatos!
Scritto il 15-10-2011 alle ore 17:05
Ultimo intervento per i saluti.
A Nico un grazie per “grande”, ma anche un invito alla moderazione.
Non è insultando che si difende il diritto del lavoro, ma smontando dialetticamente gli argomenti degli avversari.
Al caro Paolo un salutone, un augurio sincero per riuscire a trasformare l’art. 8 in uno strumento di libertà (ma Caro Paolo chiediti sempre libertà per chi ?), e due grazie.
Il primo per avermi permesso di partecipare a questo avvincente duello (erano mesi che non mi sentivo così dialetticamente vivo) ed il secondo per la birra.
Guarda che ti prendo in parola eh !
Scritto il 17-10-2011 alle ore 20:41
federico le tue riflessioni ritengo siano state un prezioso stimolo alla riflessione x tutti.
benvenuto il confronto perchè ritengo che nessuno sia portatore di verità assolute nè debba relazionarsi pensando di avere ragione “a priori”.
… quanto al resto … scherzo su tante cose ma non sulla birra, sarà un vero piacere!
Scritto il 12-12-2011 alle ore 10:24
Caro Paolo,
sono una studentessa del secondo anno di giurisprudenza, quindi ancora alle prime armi! volevo chiedere un chiarimento sui principi in base ai quali è possibile derogare alla legge ai sensi dell’art8.
A lezione di diritto sindacale la nostra professoressa ha invitato un giuslavorista spagnolo che ha fatto un raffronto tra le possibilità di deroga alla legge nel diritto italiano e spagnolo. sulla base di quello che lui ha chiamato “principio di sussidiarietà” ha detto che in Spagna le norme di legge sono imperative, ma le parti possono derogare ad esse attraverso il loro unanime consenso; basta che uno dei contraenti sia favorevole alla norma legislativa e questa non subisce deroghe.
Ha dunque risontrato che questo principio di sussidiarietà è diamentralmente opposto a quello espresso dall’art 8 che invece porrebbe un’ALTERNATIVA tra la legge e il contratto che farebbe venire meno la certezza del diritto.
Anche sulla base di quello che ho letto in questo blog a me sembrerebbe invece che sia stato riprodotto lo stesso principio, forse con la differenza che affinchè la deroga produca effetto in Italia è necessario che i contratti aziendali siano approvati dalle rappresentanze sindacali presenti nell’impresa, ma forse questa differenza non è nemmeno tanto incisiva perchè è compensata in Spagna dalla vincolatività erga omenes dei contratti collettivi.
Ho capito male la nuova regola introdotta dall’art8?
Spero di essere stata chiara e mi scuso per eventuali errori dovuti alla mia scarsa competenza!
Scritto il 12-12-2011 alle ore 11:49
Licia il tuo intervento è oltremodo benvenuto.
il principio di sussidiarietà è, a mio parere, la chiave di lettura del recente (e inevitabile) spostamento del baricentro della contrattazione dal centro alla periferia: trovare le soluzioni ai problemi è più semplice ed efficace se si va dove gli stessi tovano origine!
l’art. 8 ha fatto un passo in avanti, ha consentito alla contrattazione anziendale di muoversi in deroga, quindi senza bisogno di “autorizzazioni preventive” da parte del CCNL.
si dice: “ma così il sistema va in frantumi e non c’è certezza del diritto”. non è così. è sempre il legislatore a dettare le condizioni (motivazioni) le modalità (principio maggioritario) ed i limiti (proncipi costituzionali e comunitari) entro i quali la delega alle parti aziendali possa assumere efficacia. non un sistema anarchico ma un sistema più veloce e più attento alle specificità di ogni singola realtà aziendale. quindi confermo la mia posizione di rintracciare nel principio di sussidiarietà la matrice dell’art. 8.
gli esempi di delega alla contrattazione aziendale sono numerosi nel nostro ordinamento, certo l’art. 8 allarga gli orizzonti … ma con buone ragioni, è l’intero sistema che rischia l’implosione. lascio alla tua professoressa ogni valutazione dottrinaria (considerati fortunata per la circostanza che hai avuto una lezione di diritto comparato … è esempio di rara lungimiranza!), da “gestore” delle regole del lavoro nel quotidiano ti dico che l’assenza di elementi chiari sulla validità delle norme contrattuali(il peccato originale si chiama art. 39 cost.) crea situazioni dirompenti. l’art. 8 anche in questo caso va salutato come elemento di immediata chiarezza. non sarà cibo da soddisfare i palati fini e di taluni frequentatori di salotti buoni del diritto del lavoro … ma non si poteva chiedere di più ad un DL.
in bocca al lupo per il tuo corso di studi.
Scritto il 15-1-2012 alle ore 01:46
Chiedo scusa se rientro di nuovo nel gioco dialettico, Caro Paolo, ma la domanda di Licia è uno stimolo troppo forte.
L’art. 8 non è un esempio di sussidiarietà, bensì di deroga totale alla legge, fatta senza alcun limite – a parte quelli comunitari e costituzionali, ma di questi non c’era proprio bisogno la specificazione – che mina il principio di certezza del diritto.
Il Caro Paolo scrive ” “ma così il sistema va in frantumi e non c’è certezza del diritto”. non è così. è sempre il legislatore a dettare le condizioni (motivazioni) le modalità (principio maggioritario) ed i limiti (proncipi costituzionali e comunitari) entro i quali la delega alle parti aziendali possa assumere efficacia. non un sistema anarchico”.
Con l”art. 8, invece, il legislatore crea una deroga pericolosissima all’art. 1418 c.c., il quale vuole il contratto – ed un contratto collettivo aziendale non fa nessuna eccezione – è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.
Ora,l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente” è l’eccezione alla regola, ovvero la nullità generale del contratto contrario a norme imperative.
Il problema è che l’art. 8 ha trasformato nel diritto del lavoro regola (la derogabilità alle leggi imperative) ciò che nel diritto privato è l’eccezione, senza tenere conto che mentre nel diritto privato si parte da una parità – formale o sostanziale poco importa – tra le parti, nel diritto del lavoro vi è per definizione una parte più debole, i.e. il lavoratore.
L’operazione giuridica del legislatore è in tale caso dunque quantomeno “temeraria”, anche se io userei le parole “illogica, inutile ed incostituzionale”.
Ribadisco il concetto: è vero che il legislatore può (quasi) tutto, ma vi sono dei principi che vanno difesi anche “contro” il legislatore, specie se questo sfora palesement i limiti della Carrta Fondamentale.
Che il peccato originale vada trovato poi nella non attuazione dell’art. 39 Cost. sono perfettamnete d’accordo con te, Caro Paolo, ma l’art. 8 non è elemento di chiarezza, ma di ulteriore confusione posto che esso rischia di creare un diritto del lavoro a macchia di leopardo a seconda che le rappresentanze aziandali siano formate da sindacalisti “duri”, ricattabili dall’azienda, o addiritura con la stessa conniventi.
Caro Paolo tu parli poi di modalità di attuazione della deroga tramite il principio maggioritario, ma senza specificare come si deve contare tale principio maggioritario.
Perchè se per principio maggioritario si intende la maggioranza delle rsa, allora si intende maggioranza dei “sindacati”, e la cosa non vuol dire anche maggioranza dei lavoratori, posto che si rischia di ritornare al dibatto degli Stati generali prima della RIvoluzione Francese, ove se si fosse votato per Stato, Nobiltà e Clero avrebbero prevalso contro il Terzo Stato, che però era il rappresentante del 80 e più per cento della popolazione francese.
Con la differenza che qui al poso degli Stati, vi sono sigle sindacali che fanno “maggioranza”, ma che sono rappresentative della “minoranza” dei lavoratori.
Da ultimo l’art. 8 non è semplicemente cibo che non soddisfa noi “palati fini e/o frequentatori dei salotti buoni del diritto del lavoro” – scusa ma qui mi sono proprio sentito chiamato in causa – è vera e propria “immondizia” giuridica, fatta da un legislatore non semplicemente “ideologicamente orientato”, ma anche completamente ignorante dei più basilari principi costituzionali.
In definitiva l’art. 8 non pone il contratto collettivo aziendale come sussidiario a quello nazionale od alla legge, ma come ALTERNATIVO ad entrambi, con un meccanismo – lo ribadirò fino allo sfinimento – per cui l’autonomia privata collettiva viene non semplicemente ad integrare la norma, ma a sostiuirsi ad essa anche quando non potrebbe farlo, perchè imperativa.
E questo, sinceramente, mi sembra davvero troppo, anche per uno Stato disastrato come il nostro.
Scritto il 19-1-2012 alle ore 00:39
federico, quasi non ti rispondo xchè attendevo la bevuta di birra promessa. però … visto che mi ci tiri x i capelli (questa è veramente grossa, basta vedere la mia fotina).
non riprendo argomentazioni già affrontate. dico solo che il significato di “maggioritario”, proprio perchè non specificato è rinviato alle parti, non mi sembra che il 28/6 le parti sociali abbiano fatto qualcosa da “ancien regime”! giochi con intelligenza con i paradossi ma ti invito a camminare con i piedi x terra. fai un salto nel mio post che tratta di licenziamenti (la tua esperienza è tale che non ne hai sicuramente bisogno) e vedrai quanti danni derivano da norme incerte. l’art. 8 è uno strattone normativo? ok ci sto, ma non mi sembra che si viva esattemente in un periodo ordinario. a forza di formale rispetto istituzionale e di bon ton politicamente corretto (o peggio di minacce tutt’altro che velate … guarda che succede se parli di articolo 18) non mi pare stiamo offrendo tutte queste garanzie ai lavoratori e agli imprenditori. voglio fare un po’ di sano populismo, se i nostri governanti non sanno fare le regole giuste … ci diano (parti sociali) lo scettro del potere. ci pensiamo noi! (dai che ti ho dato il “là” per uno stuolo di indignati commenti!)
con stima.
Scritto il 5-7-2012 alle ore 22:25
approfitto della sua competenza per chiederle un parere per le dimissioni per giusta causa che ho dato con telegramma a ottobre del 2011. Il mio avvocato poi con una raccomandata di una decina di giorni dopo alla ditta le ha ribadite nei motivi affermando che si era di fatto realizzato un licenziamento nei miei confronti quindi impugnandolo. Ora mi chiedo se dovendo fare ricorso per differenze retributive e per il riconoscimento della giusta causa, mi pagavano sempre in ritardo e ho subito un infortunio durante il rapporto a causa di uno sforzo che mi hanno fatto fare per sollevare un grosso imballo, il termine dei 270 giorni decorre dalla data del mio telegramma o dalla raccomandata del mio legale. Chiedo questo perchè lui pensa che i 270 giorni vadano calcolati dalla data di ricevimento della sua raccomandata e non dalla mia comunicazione precedente delle dimissioni.
Grazie per la sua consueta disponibilità.
Scritto il 7-8-2012 alle ore 13:44
Laura b. mi scuso con il ritardo con cui rispondo, ma non mi era stato segnalato il quesito. L’avvocato che ti segue avrà sicuramente chiara la situazione … che sicuramente è un po’ controversa, dimissioni che diventano licenziamento … no, scusa ma non azzardo proprio risposte
Scritto il 10-8-2012 alle ore 16:07
salve . vorrei alcuni chiarimenti per quando riguarda i contratti di solidarieta..vi scrivo il mio caso .azienda dicendoci ke dato ke asl e la regione kn i tagli fatti ci anno dato meno terapie di prima .e quindi trovatosi in difficolta economica per nn licenziare a fatto sti contratti tramite sindacati . siamo in 27 nei 3 centri da loro gestiti . come esubero di personale .io o la qualifica di assistente alla persona .kn varie mansioni . anke di autista dato ke il centro era dotato di pulmini . adesso fermi, la mia domanda e come anno fatto a decidere ki doveva stare a casa tipo io e un mio collega kn la stessa qualifica e i due autisti con qualifica di autista e pagati kome autisi.mentre 2 colleghe ci anno dato solo delle ore mancanti ma cmq lavorano . le 2 colleghe piu di me anno qualche anno in piu di lavoro al centro .azienda a risposto ke le scelte le anno fatto i tcnici . e possibile questo? i sindacati ads mi stanno dicendo ke loro nn anno visto nessun tecnico nelle trattative . a da premettere ke a tutto oggi nn abbiamo preso ancora gli stipendi . da gennaio 2012, vi kiedo se potevano fare questi marchingegni .. grazie
Scritto il 10-8-2012 alle ore 16:11
la mia preoccupazione e ke finito i 2 anni piu eventuale proroga . possiamo essere messi fuori .essendo stato inserito come esubero insieme agli autisti .
Scritto il 11-9-2012 alle ore 08:46
umberto è impossibile entrare “a distanza” in una vicenda così complessa. consulta le organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto gli accordi
Scritto il 20-10-2012 alle ore 13:09
la Golden Lady utilizza l’art. 8 x meglio organizzare la transizione dei propri contratti di associazione in partecipazione. Buon impiego dello strumento.